Re Colapesce

Diario di bordo

Trekking urbano ad Acquedolci del 10 novembre 2024

Trekking urbano ad Acquedolci del 10 novembre 2024
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata
Partecipanti : Marcello Aricò,Antonio Zampaglione,  Giuseppe Spanò, Alberto Arena,  Sebastiano Occhino, Gaetano Messina, Daniela De Domenico, Antonella Zangla, Michele Sfravara, Nina Coiro, Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Santinella Rotondo, Angelo Salvo, Rosario Sardella, Nando Centorrino, Angela Trimarchi, Luisa Inferrera,Giuseppe  Finanze, Cettina Tricomi, Ciccio Briguglio, Marica Vinci, Manuela  Scarcella , Eros Giardina, Maurizio Inglese, Maria De Carlo, Alberto Borgia, Antonella De Gregorio, Alma Raniolo. Ad Acquedolci  ci hanno  raggiunti Pinella Dini e Tuccio  Novella
Partenza  con il pullman  di Ferro alle 8,15
Arrivo ad Acquedolci per sosta fisiologica dalle   9,30 alle 10,00.
Alle 10,15 incontrati Ciro Artale e Salvino Fidacaro della proloco di Acquedolci e  componenti  del Google developer group dei Nebrodi, amici di Francesco Pagano e Antonella Rotondo, coordinatori della odierna  escursione.
Ciro Artale  ci ha fatto da guida portandoci a vedere le casematte facenti parte della linea di difesa dell’Etna che hanno avuto un  ruolo importante durante la seconda guerra mondiale nel rallentamento dell’avanzata delle truppe americane e inglesi verso la città di Messina.
Con ricchezza di dettagli, competenza tecnica  e  aneddoti, frutto delle sue approfondite ricerche negli archivi del ministero  della Difesa, interviste a testimoni oculari, contatti  con ricercatori  stranieri ci ha offerto uno scorcio delle  vicende dell’ultimo conflitto  mondiale che hanno  interessato questi territori.
Cenni storici del paese di Acquedolci,  nato per accogliere  gli abitanti  di San Fratello gravemente danneggiato da una imponente  frana nel 1922,   edificato  usufruendo della legge per la ricostruzione  della  Messina terremotata con cui ha una certa affinità  per la stessa tipologia di edifici .
Rientro in paese in pullman e visita al monumento  ai caduti, con l’obice recuperato da una postazione abbandonata, dopo diverse decine di anni dalla fine della guerra,  da tre cittadini del paese.
Rituale foto di gruppo e successiva visita dell’antiquarium comunale al centro della piazza .
Ciro  ha  illustrato quanto esposto, a cominciare dallo scheletro di un ippopotamo, e ha anticipato  quello che avremmo visto nella grotta  di San Teodoro ( di cui è riportata alla fine la descrizione copiata da quanto Marcello ha postato sulla chat per la presentazione della escursione).
Alle 12,20 trasferimento a piedi alla falesia, distante  poco più  di un chilometro, e visita del sito paleontologico e preistorico della grotta di San Teodoro , custodito dal Parco Archeologico di Tindari, sicuramente unica nel suo genere per la ricchezza e varietà dei reperti rinvenuti nelle varie campagne di scavo e che, con buona probabilità ,  potrebbe svelare altri importanti tesori.
Visita dei reperti conservati nel prefabbricato con i servizi e alle 14, 15 rientro al centro del paese.
Appena arrivati  nel bar della piazza ha cominciato a piovere e abbiamo  consumato il pranzo al sacco al riparo sotto  i tendoni o nel locale  interno. Dessert offerto dal Presidente con delle “pesche” delle dimensioni di un pallone.
Alle 15,30 visita della chiesa madre della Beata Vergine Assunta, edificio risalente agli anni venti del secolo scorso, senza particolari pregi monumentali, ma con all’interno  un originale crocifisso ligneo, un bel pulpito  in legno, una serie di mosaici moderni di buona fattura e la statua di San Benedetto il Moro.
Seconda tappa al murale di San Benedetto il  Moro, mentre  diversi componenti  del gruppo facevano  una sosta in pasticceria per  acquistare dolci da portare a casa.
​Terza tappa al Palazzo del Municipio che si erge sul lato sud della piazza rettangolare, oggi intitolata al re Vittorio Emanuele III, con alle spalle il promontorio roccioso di pizzo Castellaro, propaggine settentrionale del monte San Fratello.
L’edificio classico costituisce il fondale architettonico di un sistema viario e urbano attorno al quale dovevano sorgere la piazza mercato e l’edificio scolastico (non realizzati) e il palazzo delle Poste (realizzato e oggi destinato ad ospitare la Stazione dei Carabinieri).
Alle 16, 40 quarta ed ultima tappa ai resti del  castello Larcan Gravina.
​L’antico borgo di Acquedolci si sviluppava intorno ad una Torre medievale,  chiamato localmente con il nome di Marina Vecchia.
La spinta all’insediamento umano in questo territorio fu data dai Larcan de Soto, una delle principali famiglie catalane giunta in Sicilia nel 1391 al seguito di Re Martino I (1392-1409).
Nel 1398 Augerot Larcan ricevette da Re Martino la baronia di San Fratello. A questi va attribuita la costruzione della torre nella marina di Acquedolci, all’inizio del XV secolo.
Il nipote Antonio Giacomo Larcan Barone di San Fratello ottenne, nel 1498, la licenza di riedificare e fortificare l’antica torre esistente; in seguito ebbe il permesso di costruire il baglio, potendovi applicare i merli a coronamento delle mura, e la licenza per aprire una nuova tonnara.
Nel 1499 propose ed ottenne la licenza per attivare un nuovo caricatore nella marina del suo feudo che funse da volano per lo sviluppo del commercio ad Acquedolci.
Nel 1555 il figlio Vincenzo Larcan, Barone delle terre di San Fratello e di Santo Stefano, decise di costruire un nuovo arbitrio o trappeto di cannamele reintroducendo, così, la coltivazione della canna da zucchero, nella marina di Acquedolci.
Le condizioni necessarie per l’impianto di uno zuccherificio erano fondamentalmente due: acqua per l’irrigazione e legname per la cottura, condizioni che nel territorio di San Fratello erano garantite abbondantemente.
Coeva alla costruzione del trappeto è quella del fondaco, costruito al di fuori del trappeto.
Nel 1622 la baronia di queste terre passò a Giulia Larcan e alla sua morte alla casa Lucchesi dei Marchesi di Delia.
Ferdinando Francesco Gravina e Cruyllas, Principe di Palagonia, Grande di Spagna di Prima Classe, Cavaliere dell’insigne Ordine del Toson d’Oro, divenuto Barone di San Fratello a seguito del matrimonio contratto nel 1698 con Anna Maria Lucchesi e Filangeri, eredita il castello che, per architettura, ricorda quello di Catalabiano.
A lui si deve la decisione di abbandonare la coltivazione della canna da zucchero nel territorio di Acquedolci.
Non essendo più in funzione il trappeto di zucchero, il complesso fu trasformato in una lussuosa dimora feudale potendo così accogliere comodamente il Barone e la propria famiglia durante le visite nel feudo di Acquedolci. Attualmente poco o nulla resta che ricordi lo sfarzo di un tempo. È possibile rintracciare una qualità architettonica nel prospetto settentrionale della palazzina e dentro la chiesetta un tempo dedicata al culto di San Giuseppe, dove i resti dell’altare manifestano motivi decorativi propri del periodo tardo barocco siciliano.
Il prospetto principale è munito di torrioni cilindrici che amplificano il carattere di fortezza della residenza baronale, ponendosi al fianco della maestosa torre d’avvistamento di cui oggi restano solo pochi ruderi perché fatta saltare con cariche di esplosivo a seguito di una decisione quasi criminale.
La mancanza della copertura, ha fatto si che l’interno della palazzina sia andato completamente distrutto.
Le proprietà della Famiglia Gravina a San Fratello furono comprate alla fine dell’Ottocento dal Barone Francesco Cupane.
Attualmente è  di proprietà del Comune.
Alle 17,10 , dopo un sentito applauso di ringraziamento  a Ciro per le sue  esaustive spiegazioni, derivate dalla profonda conoscenza  e passione per la sua terra, abbiamo ripreso il pullman che alle 18,40 ci ha lasciati al Palazzo della Cultura.

 

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GROTTA DI SAN TEODORO

Sulla  parete rocciosa della falesia si apre, a circa  130 metri sul livello del mare, la grotta di San Teodoro.
La grotta, formatasi in seguito ad un fenomeno carsico verificatosi, all’incirca, otto-dieci milioni di anni fa, conserva una documentazione molto ricca e molto importante della storia della Sicilia, in termini di popolamenti di animali, ormai estinti, e di resti dell’uomo preistorico.
La prima segnalazione della grotta di San Teodoro e dei depositi paleontologici e paleoetnologici ubicati al suo interno e sul talus ad essa antistante, si deve alla esplorazione del Barone Anca che nel 1859 eseguì un primo saggio di scavo. Egli notò che all’interno vi erano depositi del Paleolitico Superiore e nell’ampio saggio che fece all’ingresso della grotta trovò un sedimento che conteneva resti di animali (elefante nano, iena, cervo, cinghiale, orso, asino).
Successive indagini, ognuna di straordinaria importanza, si devono a Vaufray (1925), Graziosi e Maviglia (1942), e Bonfiglio (1982-1985, 1987, 1989, 1992, 1995, 1998, 2002, 2004).
La Grotta di San Teodoro fu abitata dall’uomo entro uno spazio di tempo valutabile, all’incirca, tra i 12.000 e gli 8.000 anni a.C. che dal punto di vista culturale rappresenta l’ultimo periodo del Paleolitico Superiore italiano comunemente chiamato Epigravettiano finale.

La singolarità e l’importanza della grotta è data dal ritrovamento delle prime sepolture paleolitiche siciliane: sono cinque crani e due scheletri eccezionalmente completi che per primi hanno consentito una conoscenza approfondita degli antichi abitanti della Sicilia. Il rituale delle sepolture consisteva nella deposizione del defunto in una fossa poco profonda in posizione supina oppure sul fianco sinistro, circondato da ossa animali, ciottoletti e ornamenti composti da collane fatte con denti di cervo. Tutte le deposizioni furono ricoperte da un leggero strato di terra e al di sopra fu sparsa dell’ocra (colorante naturale) che formava un sottile livello.
La testimonianza più importante è data dal ritrovamento dei resti fossili di una donna di circa 30 anni, alta 165 cm, alla quale è stato attribuito il nome di Thea (dal latino Theodora) per collegarlo a quello della grotta.
L’INDUSTRIA LITICA.
Il deposito della grotta era composto da una stratigrafia di terreni sovrapposti in cui si conservano i resti della frequentazione umana. Si rinvennero focolari, ossa animali appartenenti per lo più a resti di pasto e abbondante industria litica appartenente a una fase finale del cosiddetto orizzonte epigravettiano del Paleolitico Superiore (circa 12000-8000 anni a.C.).
L’industria litica di San Teodoro è composta da strumenti diversi che l’uomo utilizzava nella caccia e nelle attività di lavoro come la lavorazione delle pelli e la preparazione del cibo. Essa era fabbricata con rocce che si raccolgono nel territorio, la quarzite e la selce. Gli strumenti in selce sono spesso di dimensioni piccole (microliti) con grattatoi, punte a dorso e geometrici, mentre quelli in quarzite hanno dimensioni maggiori e vi sono bulini, grattatoi, lame-raschiatoio e punte a dorso. L’abbondanza di industria litica mostra che la lavorazione, cioé la scheggiatura della selce e della quarzite, avveniva sia all’interno che all’esterno della grotta.
La ricca presenza dei Geometrici (strumenti di piccolissime dimensioni a forma di triangoli) ha fatto considerare questa industria come una facies regionale, tipica della Sicilia, tanto da essere denominata “facies di San Teodoro“.

I resti animali indicano la presenza di cervo, bue preistorico, e cinghiale, mentre lo studio dei carboni ha fornito dati sull’ambiente presente nei dintorni della grotta di quel periodo che doveva essere formato da un bosco di querce e aceri.
All’interno della grotta, al di sotto degli strati con le testimonianze del paleolitico, i sedimenti più profondi contengono resti scheletrici di vertebrati (iena, lupo, volpe, cinghiale, bue preistorico, elefante endemico, cervo endemico, piccolo cavallo) e di coproliti di iena, in un periodo (pleistocene superiore, circa 125.000-35.000) in cui la grotta era frequentata da popolazioni di iene che nel tempo hanno trasportato frammenti di carcasse di animali predati. La tana delle iene (crocuta crocuta spelaea) è stata datata dagli scavi Bonfiglio (1998, 2002) alla fine del Pleistocene superiore (circa 35000 anni da oggi).
All’interno della grotta ma soprattutto all’esterno numerosi frammenti ceramici pertinenti a vasellame di varie epoche individua la presenza di gruppi umani preistorici dell’età del Bronzo e di frequentazioni avvenute anche durante il periodo greco e romano fino ad epoca moderna. Questi documenti offrono altre notevoli possibilità di ampliare le conoscenze archeologiche sul territorio di Acquedolci.
All’esterno della grotta: il bacino lacustre e il DEPOSITO A IPPOPOTAMI
Davanti all’alta parete calcarea su cui si apre la grotta di San Teodoro ed altre cavità come il Riparo Maria si estende un deposito paleontologico contenente numerosissimi resti fossili di Hippopotamus pentlandi. Il deposito è il residuo di un antico bacino lacustre esistente durante il Pleistocene medio (700.000-125.000 anni da oggi).
I resti fossili di ippopotamo di Acquedolci risalgono alla fine del Pleistocene medio e cioé a un’età di circa 200.000 anni. Questi fossili, nonostante l’intensa frantumazione subita, rappresentano un importante contributo per lo studio morfologico e filogenetico dell’ippopotamo pleistocenico della Sicilia.
Ad Acquedolci l’esistenza di un bacino lacustre ha permesso la vita a popolazioni di ippopotami i cui resti scheletrici, seppelliti nei sedimenti al fondo del bacino, si sono conservati a migliaia per cui il deposito offre un’abbondanza di resti tale da permettere uno studio dettagliato degli ippopotami e di riconoscere le altre specie di mammiferi presenti.

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