Re Colapesce

Diario di bordo

Trekking a Pezzolo del 15 dicembre 2024

Trekking a Pezzolo del 15 dicembre 2024
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata.
Presenti: Marcello Aricò, Filippo  Cavallaro, Carmelo Geraci,Rosalba Fera, Antonello Gemelli, Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Ciccio Briguglio, Lucia Annunziata, Maria Cadili, Manuela  Scarcella, Eros Giardina, Maurizio Inglese, Antonio  Micali, Rosario Sardella, Sebastiano Occhino, Patrizia Olivieri, Alberto Borgia e due ospiti: Lucia Guarino e Nicola Guarino. Formazione degli equipaggi e partenza  alle  8,10.
Marcello e Carmelo sono andati  a Giampilieri dove hanno  lasciato le macchine e, insieme a Rosalba Fera sono tornati   a Pezzolo dove li aspettavano  tutti  gli altri.
Alle 9,15, sotto una leggera  pioggia  , ci siamo  incamminati verso la ” prima calata” del  secolare sentiero detto“a calata di Bettaci” tornato percorribile da alcuni mesi grazie all’impegno di una decina di giovani del paese che lo hanno ripulito dalla vegetazione che lo aveva invaso negli ultimi decenni e   messo in sicurezza  alcuni tratti con la realizzazione di gradini, passerelle, ringhiere in canne di bambù etc., rendendolo fruibile a tutti.
All’ inizio del percorso , indicato dall’indice di una mano scolpita in un blocco  di legno, c’è una antica  carta geografica della Sicilia in cui è indicato  anche il piccolo paesino di Pezzolo, a testimonianza  dell’importanza  del borgo nei secoli  passati.
Il sentiero, che attraversa il paesaggio collinare fino alla contrada Bettaci, era in passato una delle principali vie di collegamento per gli abitanti del villaggio per raggiungere gli agrumeti e le terre coltivate.
Arrivati, dopo una mezz’ora di strada , all’inizio della “seconda calata” , abbiamo incontrato Gaetano  Girasella, nativo di Pezzolo, professore di matematica e fisica in pensione, persona dalla vasta e poliedrica cultura e soprattutto appassionato ed esperto cultore di storia patria , che ci ha fatto  da guida per il resto dell’ escursione, dandoci una gran quantità  di informazioni, inframezzate da simpatici  aneddoti riferiti a personaggi del paese, molti dei  quali  da lui conosciuti quando  era bambino.
Alle 10,10 siamo arrivati  al torrente, pieno d’acqua, proveniente dalla sorgente di San Calogero, dove i nostri giovani accompagnatori, coordinati da Giuseppe Spuria, avevano sistemato pedane in legno per rendere agevoli i numerosi attraversamenti.
Il professore  Girasella  ci ha spiegato in che modo, partendo dai materiali esistenti  sul posto , con un pesantissimo e rischioso  lavoro manuale, veniva prodotta la calce che serviva , mischiata alla sabbia e all’acqua, a preparare  la malta.
Si partiva dalle grandi rocce di carbonato di calcio, frantumate con l’impiego di  cariche di dinamite o polvere da sparo, inserite in fori,  lunghi un metro, praticati  a colpi di mazza battuti su lunghi scalpelli.
Le pietre ottenute a seguito dell’esplosione venivano disposte in ” caccare”,  costruite  sul posto, in modo da realizzare delle strutture  semisferiche  successivamente  ricoperte da pietre di piccola pezzatura, mattoni e tegole. Su questa base si disponevano   120   fascine  di legno povero, per un peso complessivo di quasi dieci tonnellate, a cui veniva dato  fuoco.
La combustione durava 24 ore e alla fine si otteneva ossido di calcio puro ( calce viva) che, mescolata alla sabbia che si trovava in quantità  nel greto del torrente  e all’acqua formava la malta usata per cementare i mattoni, portati dalle fornaci della zona, e le pietre di costruzione.
L’ imponente ponte , che si presenta quasi all’improvviso,è costruito in pietra e mattoni e risale alla fine dell’Ottocento.
 È perfettamente conservato e faceva parte di un complesso sistema di irrigazione che alimentava gli agrumeti della zona.
Non è  stato trovato  il progetto, ma il ponte è un vero capolavoro, e colpisce anche  per il luogo  in cui è  stato  realizzato.
Ha due contrafforti in mattoni, ancorati sui due pendii, larghi due metri  e alti cinque metri su cui grava un primo arco del diametro di  dieci metri. Sopra a questo  ci sono altri tre archi, di diametro inferiore e in alto il camminamento dove c’era il sifone che portava acqua da una sponda all’altra tramite una condotta realizzata con i ” caduzzi” (tronchi di tubi in coccio lunghi circa  80 centimetri, con estremità a  maschio e femmina innestati in modo da ottenere una tubazione).
L’altezza complessiva raggiunge i ventuno metri e il visitatore è colpito dalle dimensioni e dall’eleganza del manufatto.
Il Professore ci ha raccontato  vividi episodi relativi al duro lavoro dei contadini e al loro  rapporto   con i proprietari ( spesso una danarosa  famiglia cittadina , Bettaci, Sollima, Crisafi, Langher ,  che aveva acquistato i terreni   espropriati con le leggi eversive al monastero benedettino di San Placido Calonerò) a cui li legava  un contratto detto ” a un terzo”  che garantiva al proprietario due terzi del ricavato e un terzo al colono che però aveva l’obbligo di ” scugnari ‘u terrenu” , fare i muretti a secco, realizzare le rasole e  portare la terra  ” a nocciolo” cioè alle  dimensioni non superiori di quelle di un nocciolo.
In questo stato di pesante sfruttamento, quando la paga giornaliera di un bracciante consisteva in un secchio di limoni, c’era anche chi, con la complicità  del sacrestano allungava la giornata lavorativa scandita dal suono delle campane.
Il sacrestano , dietro compenso, suonava il Padrenostro a notte fonda , un quarto d’ora prima del dovuto, e quando il bracciante si accorgeva dell’inganno osservando la posizione della stella Venere ,  doveva  sorbirsi questa imprecazione :
” CHI MMI HAVI MALANOVA ‘U SACRISTANU, C’HAVI QUAGGHIARI ‘U SANGU A IDDU, A SO MUGGHIERI E I SO FIGGHI.
I SO QUATTRU FIGGHI FIMMINI C’HANNU ARRISTARI INTRA E HANNU ADDIVINTARI CHIU’ ACIDI DU ZZUCU DU LIMIUNI”.
Alle 10,45,discendendo il torrente per un breve tratto siamo tornati alla confluenza con il torrente proveniente da Iaddizzi e risalendolo  abbiamo raggiunto, intorno alle 11,10,  i ruderi di un mulino ad acqua cinquecentesco.
Questo mulino veniva utilizzato per la macinazione dei cereali raccolti in zona, ed era un punto di riferimento per l’intera comunità contadina della valle. È rimasto  in funzione per quasi quattrocento anni, dal 1568, come testimonia la data scolpita su una pietra ,  fino al 1955 e il Professore  ricorda l’ impressione che faceva , a lui ragazzino, l’ enorme ruota che girava a folle.
La ruota in legno, con quindici raggi,  aveva un diametro  di sei metri e sessanta centimetri, era mossa   dall’acqua che cadeva a velocità  da un canale in forte pendenza e,  tramite un asse in legno di castagno di 45 centimetri di diametro,( ancora in parte visibile)  trasmetteva il moto di rotazione orizzontale , con ingranaggi realizzati in legno di sorbo alla macina in pietra di un metro e mezzo di diametro.
L’acqua , dopo avere spinto la ruota, scorreva  nella ” fliscia” e fluiva nel torrente.
Sempre sotto  la pioggia abbiamo ripreso la via del ritorno risalendo la scalinata e arrivando alle 12,00 al cimitero (in prossimità del quale inizia la strada che conduce a Giampilieri) e alle 12,30  in paese.
Prima di visitare la chiesa Madre, il Professore  ci ha parlato della ex chiesa di San Giovanni Battista, poi chiesa  di Loreto, che si trova fuori dal paese e di cui rimangono gli interessanti resti, incluso un affresco con l’immagine  della pietra angolare e di un sole che illumina dall’alto un uomo, come descritto  nel “Benedictus”.
L’ edificio è  stato  presumibilmente realizzato da monaci basiliani dopo il 726 d.c. e prima dell’arrivo degli arabi a Messina  nell’843.
Tra le numerose informazioni che ci ha dato, abbiamo saputo  che a Pezzolo  esisteva una consistente comunità di  ebrei, alcuni  dei quali, dopo l’ editto di Granada del 1492, divennero ” marrani”  essendosi convertiti i per necessità alla fede cattolica   ma continuavano a pregare in maniera  particolare.
La chiesa  madre, dedicata a San Nicola di Bari, protettore del villaggio, risale alla seconda metà del secolo XVII. Fu danneggiata gravemente dal terremoto del 1908 e venne ristrutturata negli anni successivi. Ha un artistico bellissimo Portale realizzato dagli allievi di Antonello Gagini. Costruita in pietra di Siracusa, la chiesa ha la  facciata con raffigurati i simboli dei Quattro Evangelisti in bassorilievo, le teste alate dei Cherubini, una Madonna con bambino e Santi. Nelle due grosse basi di sostegno, sono invece visibili le figure delle Chimere alate, realizzate in altorilievo. Accanto alla chiesa sorge un alto campanile dove c’è murata una targa che riporta la data del 1598.
All’interno c’è una statua della Madonna di Loreto che pesa 250 chili , proveniente dalla chiesa di Loreto portata qui da un solo uomo, chiamato  “Santu bistiazza” per via dell’esclamazione che fece riferendosi al peso della statua ( “minchia quantu pisa sta bistiazza”).
In fondo  alla  chiesa, dietro  una bella acquasantiera, c’era  una apertura chiamata “u purtusu du catalettu” nel quale venivano  inseriti i cadaveri che finivano in un grosso  ambiente  sotterraneo prima della costruzione del cimitero, avvenuta nel 1892. A Pezzolo c’erano cinque chiese ed alcune di esse erano usate per seppellire i defunti.
Il Professore  ricorda che quando aveva  sedici anni crollò un muro di contenimento e lui, insieme  ad un gruppo  di amici, muniti di  torce elettriche, entrarono  nella cavità e videro mucchi di femori, teschi ed altre ossa umane.
Entrando in chiesa, a destra, c’è una originale acquasantiera di forma ottagonale, probabilmente proveniente  da qualche  proprietà  dei cavalieri  dell’ordine  di Malta, che hanno  tra le caratteristiche, la croce a otto punte. Sul bordo  è incisa  una scritta  in latino che significa ” non intinga la mano il ladro” dove il ladro era il povero disgraziato che, per sfamare i propri figli , era costretto a  rubare qualche frutto  o erba commestibile di  proprietà  dell’importante monastero  benedettino di San Placido Calonerò.
Il monastero infatti, per privilegio reale risalente al 1400 aveva il privilegio del pascolo su tutto il territorio  di Altolia, Molino, Giampilieri, Pezzolo, Briga, Santo Stefano  Briga e Santo Stefano  medio.
Era possibile avere in affitto un terreno, ma l’affittuario doveva  consegnare la metà del raccolto, a questa tassa  si aggiungeva il 10% del raccolto( la cosiddetta decima per il sostentamento della chiesa)  la tassa  per il regio demanio e  quindi il ” furto” di qualunque prodotto  commestibile era quasi la prassi.
A Pezzolo c’era in passato  un embrione di attività industriale, si allevava il baco da seta, c’erano cinque telai funzionanti e dalla  produzione di essenza di limone si otteneva un discreto reddito.
Dopo  la visita, quasi sempre  sotto  una leggera pioggia, ci siamo  mossi verso il lavatoio passando dalla “rua ‘u palazzu” , adesso  via Palazzo, così  chiamato  perchè c’era il palazzo  dove nel 1500-1600 vivevano  i benestanti del paese.
Della costruzione rimane un arco in pietra, di fattura simile a quello del monastero di San Placido, e due profonde  stanze, dette dello scirocco, dove gli abitanti  avevano  refrigerio  nelle giornate estive particolarmente afose. Alle  spalle  del Palazzo  c’era la chiesa  frequentata esclusivamente dai nobili.
Alle 12,55 siamo arrivati  al lavatoio, recentemente  restaurato.
La parte più interessante è  costituita dal blocco monolitico in pietra, suddiviso in due  vasche, decorato con croci greche e un simbolo di incerta identificazione che rimanda al rito bizantino. Si suppone che il manufatto fosse  un fonte battesimale , forse trecentesco, proveniente, dalla chiesa  di Santa  Maria  dell’Idria.
La data  del 1869 si riferisce  all’ anno di realizzazione della struttura  a parete  con l’arco in pietra. In questo luogo  fino agli anni ’60 le donne del villaggio si ritrovavano per lavare i panni ed era  un punto di incontro  tra le ragazze ed i loro spasimanti.
Nel 1957 il comune di Messina fece dei lavori alle tubazioni, ma non rispettò le norme di legge e , poiché  da qui si attingeva l’ acqua  potabile,  ci fu una epidemia di tifo con 260  abitanti  contagiati.
Anche il Professore, che all’ epoca aveva sette  anni, si ammalò e il medico che lo visitava, dopo avergli auscultato le spalle gli disse  ” coricati” , un termine per lui sconosciuto , e nonostante i ripetuti inviti, solo quando sua Madre gli disse ” cucchiti” si sdraiò sul letto  come richiesto.
Alle 13,05 ci siamo  spostati al monumento ai caduti e anche qui il Professore  ha raccontato che un reduce della prima guerra mondiale, Cicciu Baioccu,  gli diceva come i soldati, prima dell’assalto venissero incoraggiati con una abbondante dose di cognac ed esaltati dall’ incitamento del loro  capitano ” omini eramu e liuni addivintavimu ”  si scagliavano contro le postazioni nemiche,  incuranti del fuoco delle mitragliatrici.
Dopo la foto  di gruppo, considerato che eravamo  tutti  abbastanza inumiditi da tre ore di cammino  sotto  la pioggia, viste anche  le previsioni  meteo che davano pioggia, abbiamo  deciso  di non fare il percorso da Pezzolo  a Giampilieri  lasciando la scelta ad ognuno di tornare  a casa.
Il trekking, anche se parziale, è stato  ugualmente  molto interessante e ci ha permesso di iniziare una collaborazione che già  a marzo si concretizzerà in una mezza giornata alla scoperta e conoscenza delle piante alimurgiche del luogo, di cui il professore Girasella è esperto.

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