Trekking a Monte Scuderi del 23 marzo 2025.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata. Presenti: Marcello Aricò, Antonio Zampaglione , Carmelo Geraci, Alberto Borgia, Rosario Sardella, Stefania Davì, Serena Policastro, Francesco Policastro e la sua ragazza Andrea Golzi, Tonino Seminerio, Francesco Briguglio, Giuseppe Spanò. Dopo l’arrivo di Giuseppe formati gli equipaggi e partiti alle 8,15.
Alle 8,40 arrivo al bar Ausilia e sosta di circa 15 minuti per fare colazione.
Risaliti in macchina ci siamo diretti a Itala superiore.Superato il cimitero, seguendo le indicazioni stradali, abbiamo proseguito per circa 10 chilometri sulla strada male asfaltata fino ad arrivare all’ inizio della sterrata dove abbiamo parcheggiato alle 9,45 in uno slargo in località Culma Caravaggi.
Partenza per la destinazione , non visibile a causa delle nuvole basse, proseguendo in un nebbione sempre più fitto che in certi tratti limitava la visibilità a poche decine di metri e non faceva vedere nulla del panorama circostante. Il vento non era particolarmente forte, nonostante le previsioni , ma una elevata umidità in poco tempo ha inzuppato i capelli e ricoperto i maglioni di una specie di rugiada.
La strada è a tornanti in costante salita, con pendenza contenuta tra l’otto e il dodici percento.
Dopo circa un’ora e dieci minuti siamo arrivati al punto panoramico di Puntale Crimastò, dove si trova un largo spazio recintato e una postazione con le parallele per fare training, che insieme ad altre precedentemente incontrate per strada, visto i luoghi dove sono posizionate, è sicuramente un appalto per sprecare denaro pubblico.
La nebbia non permetteva la vista di nulla e sembrava di essere immersi in un mare di panna, ma al ritorno, con la visibilità ripristinata, ci siamo fermati per apprezzare il panorama che si godeva.
Dopo cinque minuti, alle 11,00 circa, siamo arrivati a Portella Salice a quota 1005 , a 3,5 chilometri dalla partenza.
Qui un grande cartello del Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale evidenzia i sentieri ricadenti nella riserva orientata di Fiumedinisi e Monte Scuderi, istituita nel 1998 per preservare la pregiata flora e la fauna locali a rischio estinzione, in cui ci troviamo.
I cartelli del CAI posizionati sui pali infissi indicano la direzione e i tempi per raggiungere le varie mete: Monte Scuderi 1,30 ore, Altolia 3 ore, Sentiero 116 1,45 ore, Rifugio Mandrazza 35 minuti, Case Vernia 1,0 ora, Itala 1,50 ore ,Fossa ‘a Lupa dieci minuti,Puntale Cimmerio 20 minuti, Sentiero 101 mezz’ora. Ripreso il cammino, dopo circa duecento metri, siamo arrivati ad un piccolo abbeveratoio con una fontana alimentata da una sorgente che sgorga tra i cespugli di capelvenere all’interno di una grotticella scavata nella parete sovrastante. La targa identificativa, posizionata sulla vasca, era stata rotta da vandali per cui non è stato possibile sapere come si chiama.
Alle 11,17, dopo un ampio tornante, abbiamo raggiunto la località Fossa ‘a Lupa, a quota 1020 metri, segnalata da un cartello. Nelle adiacenze ci sono i muri perimetrali di una costruzione ridotta a rudere e nel pianoro sottostante, tra la nebbia, si scorgeva una superficie orizzontale che abbiamo scambiato per il tetto di una casa, mentre in effetti, quando al ritorno la visibilità era normale, ci siamo accorti che si trattava del ripiano di un lungo tavolo.
Alle 11,28 siamo arrivati alla fossa della neve, una delle tante disseminate in questa zona e in altri punti dei Peloritani.
Si tratta di ampie e profonde buche a pianta quadrata o circolare, rivestite di pietre a secco, utilizzate dai cosiddetti nivaroli fino a metá del secolo scorso per produrre e conservare il ghiaccio.
I nivaroli raccoglievano la neve caduta in inverno e la pestavano e compattavano in modo da formare una grande massa di ghiaccio che veniva coperta da uno spesso strato di foglie di felce e terra in modo da potersi conservare fino ai mesi estivi.
In questa stagione i nivaroli andavano a prelevarlo tagliandolo a blocchi a forma di parallelepipedo , lo avvolgevano in teli di juta e lo trasportavano a valle per venderlo.
Carmelo ricorda che, quando era piccolo, questo ghiaccio era usato nella ghiacciaia di casa ( un mobiletto in legno con un vano rivestito di lamierino di zinco, con un foro per fare defluire l’acqua) per conservare al fresco gli alimenti.
Dopo qualche centinaio di metri la comoda strada si restringe e diventa un sentiero sempre più impervio, con il fondo irregolare in parte a scaloni e ciottoli e con il tratto finale parzialmente scavato sul fianco della montagna e indicato approssimativamente solo con qualche sbiadito segnale bianco e rosso del CAI.
Intorno alle 12,00 abbiamo affrontato le ultime centinaia di metri arrampicandoci letteralmente e superando tratti con pendenze intorno al 25 percento
Finalmente, sempre immersi nella nebbia, siamo arrivati ad un picchetto che segna l’inizio del pianoro e alle 12,25 , a sei chilometri da Culma Caravaggi, abbiamo raggiunto la croce in legno con vicina una panchetta in legno dove qualcuno ne ha approfittato per fare un veloce spuntino.
Scattate le inevitabili foto siamo andati a zonzo a cercare la famosa grotta che, secondo Marcello e Tonino che l’hanno vista è identificabile per la presenza di numerosi santini in prossimità dell’entrata.
Alberto, in una fenditura distante meno di cento metri dalla croce in direzione est, ha trovato una grotta che ha percorso per una decina di metri senza peraltro trovare nessun segno identificativo.
Visto il perdurare della nebbia abbiamo deciso di ridiscendere per trovare un luogo riparato per pranzare, ma alle 13,00 in punto , come preannunciato da Ciccio, le nuvole hanno improvvisamente iniziato a diradarsi ed è uscito il tanto agognato sole, salutato dai nostri applausi.
Siamo tornati indietro e abbiamo raggiunto il cippo improvvisato che identifica la cima più alta di Monte Scuderi a 1253 metri, distante solo un centinaio di metri dalla croce, ma prima invisibile nel mare di nuvole.
Trovato un punto riparato , intorno alle 13,10 ci siamo fermati a pranzare.
Un nutrito gruppo del CAI di Catania, composto da quasi trenta escursionisti provenienti dalla Santissima ci ha raggiunto mentre mangiavamo e Marcello, che aveva appena finito di distribuire le spille a tutti noi, ha regalato loro 4 spillette.
I Monti Peloritani, nella cartografia antica, sono indicati anche col toponimo di “Monti Nettuni” o “Saturni”. Il riferimento a Nettuno è legato alle tradizioni mitologiche di Messina che nell’antichità eresse templi dedicati a questo suo nume tutelare. Saturno invece, ritenuto il primo manipolatore di metalli, enfatizza la nutrita presenza di filoni metalliferi in questa parte di territorio. “Mons Saturni”, in particolare, fu chiamato Monte Scuderi e anche “Monte Scuteri” e “Monte Scueri” nei documenti medievali. L’origine potrebbe essere ricondotta al termine medievale “Scudeli”, cioè ciotola o scodella per indicare i vasi che furono trovati abbondanti nel pianoro del Monte.
Secondo Aldrisi, geografo arabo alla corte normanna, sul monte c’era una fortezza bizantina fino all’arrivo degli arabi nel 902 d.c.
Il monte ha una posizione importante per la difesa di tutto il territorio del Valdemone per la possibilità di comunicare rapidamente con Messina e con Roccella.
Ricorrente, nelle cartografie settecentesche, è il toponimo di “Monte Spreverio” o “Monte Spaveri” o “Monte Sparviero”, ad indicare la presenza degli omonimi rapaci ma anche dalla forma che il Monte assume visto da sud. “Mons Saturnius”, anch’esso presente nelle antiche cartografie, ricorderebbe la leggenda che indica nelle viscere di Monte Scuderi la sepoltura di Saturno. La presenza del dio, insieme alla “Trovatura”, troverebbe così la motivazione della sua origine: lo sfruttamento, antichissimo, dei filoni metalliferi.
Nella grande sala della Grotta del Pavone, su una parete, è incisa la scritta in tedesco “Teuffechel”, cioè “Diabolico”, con l’anno 1727. Evidentemente si trattò di un minatore tedesco che volle così esprimere la sua impressione su ciò che andava vedendo.
Secondo le numerose fonti antiche,la Trovatura, cioè il tesoro nascosto consisterebbe in tre casse piene di monete d’oro, d’argento e di rame, oltre a una chioccia con ventuno pulcini d’oro che corrono pigolando, rendendo difficile la loro cattura. La leggenda vuole che un non meglio identificato mago re Saturno, prima di morire, lasciò con un incantesimo in custodia alla propria figlia nelle viscere di Monte Scuderi. il tesoro di ori e oggetti preziosi che aveva raccolti nella sua vita.
Secondo il credo popolare ci sono particolari condizioni da osservare per impadronirsi del tesoro.
Del gruppo di persone che intendono scoprire il tesoro devono far parte un sacerdote e una giovinetta casta e pura.
In una sola notte di luna piena si deve filare, torcere e biancheggiare il filo col quale si deve tessere la tela per confezionare un tovagliolo.
Nella stessa notte si devono pescare pesci nel mare di Alì Marina e, velocemente, portarli sul Monte facendoli giungere ancora vivi.
Qui, i pesci devono essere cotti e mangiati appoggiati sul tovagliolo davanti alla Grotta del Pavone che custodisce la “Trovatura”.
Terminata la colazione con i pesci prima dell’alba, i cercatori del tesoro possono entrare nella Grotta per la “Ciacca du ‘mpisu” (fenditura dell’impiccato) dove in fondo incontrano un grande serpente che vi si attorciglia leccandoli sul viso. Non dovranno avere paura né invocare santi, altrimenti saranno all’istante dispersi in lontane contrade. Superata questa prima prova, appare la ragazza custode del tesoro che mostra loro le ricchezze al di là di un grande lago che sarà possibile attraversare una volta che si troverà una barchetta, dopo la lettura di formule esorcistiche da parte del sacerdote. Dopo l’attraversamento del lago, invaso da onde paurose, raggiunta l’altra riva i cercatori verranno assaliti da un enorme cavallo che girerà attorno al tesoro per impedire loro di raggiungerlo. Se tutti resteranno uniti senza paura contando “tredici volte tredici”, la bella custode sarà liberata dall’incantesimo e quindi potranno avere il tesoro.
Si racconta che nel 1800 un prete di nome Rau, insieme ad alcuni abitanti di Alì, si recarono sul Monte decisi ad impadronirsi del tesoro. Davanti al cavallo inferocito, però, uno di loro invocò la Vergine: subito furono sollevati dalla Grotta e si trovarono alcuni sulle coste della Calabria e altri sulla cima dell’Etna.
Consumato il pranzo siamo andati tutti in cima per le foto di rito e gironzolato sul pianoro , tutto verde di erba e costellato da piante dai fiori gialli, da un estremo all’altro godendo della vista dei monti che poco per volta si vedevano tra le nuvole che via via , si diradavano, da ‘Ntinnammare a Monte Soro.
Alle 13, 50, a 7,2 chilometri dalla partenza, abbiamo ripreso il sentiero di ritorno attenti a non “sdiruparsi” ora che la visibilità ritrovata ci faceva rendere conto dei burroni che ci circondavano.
Alle 14,40, dopo un chilometro e seicento metri abbiamo raggiunto il cartello della Fossa della neve a 1009 msl.
Lungo questo tratto di strada Marcello, Carmelo, Alberto, accompagnati anche da Stefania, Serena e Francesco hanno ” stonato” alcuni canti scout nel ricordo dei bei tempi andati.
Ad un certo punto , arrivati alla deviazione che porta allo stradone militare, Alberto ha proposto di arrivare a ‘Ntinnammare e Serena lo ha seguito, ma richiamati dal resto del gruppo e verificato che la distanza da percorrere superava i sedici chilometri con tempo di percorrenza stimato di almeno sei ore, hanno desistito tornando nei ranghi.
Breve sosta alla fontana e al belvedere di puntale Crimastò , adesso inondato dal caldo sole, dove abbiamo scattato alcune foto di gruppo.
Il rimanente tratto di strada ci ha permesso finalmente di apprezzare la montagna in tutta la sua imponenza e i bellissimi scenari circostanti.
Quasi all’arrivo Francesco, Andrea, Alberto e Carmelo hanno visto levarsi in volo due uccelli dalle enormi ali , ma purtroppo non sono stati in grado di identificarli.
Arrivo alle macchine alle 16, 20 quando ha iniziato a cadere qualche goccia di pioggia. Secondo Komoot e altre applicazioni la lunghezza complessiva percorsa è stata di circa 13,5 chilometri.
Indossati indumenti asciutti siamo tornati in macchina verso Itala facendo una breve sosta alla chiesa arabo normanna di San Pietro e Paolo, purtroppo chiusa .
Trasferimento alla sala Ausilia a prendere un dolce dalle 17,40 fino alle 17,55 e ritorno a Messina, dove siamo arrivati intorno alle 18,30.
Anche il trekking di oggi, più volte rimandato, è stato bellissimo e, come altre volte è stato valido il detto”fortuna audentes iuvat”.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata. Presenti: Marcello Aricò, Antonio Zampaglione , Carmelo Geraci, Alberto Borgia, Rosario Sardella, Stefania Davì, Serena Policastro, Francesco Policastro e la sua ragazza Andrea Golzi, Tonino Seminerio, Francesco Briguglio, Giuseppe Spanò. Dopo l’arrivo di Giuseppe formati gli equipaggi e partiti alle 8,15.
Alle 8,40 arrivo al bar Ausilia e sosta di circa 15 minuti per fare colazione.
Risaliti in macchina ci siamo diretti a Itala superiore.Superato il cimitero, seguendo le indicazioni stradali, abbiamo proseguito per circa 10 chilometri sulla strada male asfaltata fino ad arrivare all’ inizio della sterrata dove abbiamo parcheggiato alle 9,45 in uno slargo in località Culma Caravaggi.
Partenza per la destinazione , non visibile a causa delle nuvole basse, proseguendo in un nebbione sempre più fitto che in certi tratti limitava la visibilità a poche decine di metri e non faceva vedere nulla del panorama circostante. Il vento non era particolarmente forte, nonostante le previsioni , ma una elevata umidità in poco tempo ha inzuppato i capelli e ricoperto i maglioni di una specie di rugiada.
La strada è a tornanti in costante salita, con pendenza contenuta tra l’otto e il dodici percento.
Dopo circa un’ora e dieci minuti siamo arrivati al punto panoramico di Puntale Crimastò, dove si trova un largo spazio recintato e una postazione con le parallele per fare training, che insieme ad altre precedentemente incontrate per strada, visto i luoghi dove sono posizionate, è sicuramente un appalto per sprecare denaro pubblico.
La nebbia non permetteva la vista di nulla e sembrava di essere immersi in un mare di panna, ma al ritorno, con la visibilità ripristinata, ci siamo fermati per apprezzare il panorama che si godeva.
Dopo cinque minuti, alle 11,00 circa, siamo arrivati a Portella Salice a quota 1005 , a 3,5 chilometri dalla partenza.
Qui un grande cartello del Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale evidenzia i sentieri ricadenti nella riserva orientata di Fiumedinisi e Monte Scuderi, istituita nel 1998 per preservare la pregiata flora e la fauna locali a rischio estinzione, in cui ci troviamo.
I cartelli del CAI posizionati sui pali infissi indicano la direzione e i tempi per raggiungere le varie mete: Monte Scuderi 1,30 ore, Altolia 3 ore, Sentiero 116 1,45 ore, Rifugio Mandrazza 35 minuti, Case Vernia 1,0 ora, Itala 1,50 ore ,Fossa ‘a Lupa dieci minuti,Puntale Cimmerio 20 minuti, Sentiero 101 mezz’ora. Ripreso il cammino, dopo circa duecento metri, siamo arrivati ad un piccolo abbeveratoio con una fontana alimentata da una sorgente che sgorga tra i cespugli di capelvenere all’interno di una grotticella scavata nella parete sovrastante. La targa identificativa, posizionata sulla vasca, era stata rotta da vandali per cui non è stato possibile sapere come si chiama.
Alle 11,17, dopo un ampio tornante, abbiamo raggiunto la località Fossa ‘a Lupa, a quota 1020 metri, segnalata da un cartello. Nelle adiacenze ci sono i muri perimetrali di una costruzione ridotta a rudere e nel pianoro sottostante, tra la nebbia, si scorgeva una superficie orizzontale che abbiamo scambiato per il tetto di una casa, mentre in effetti, quando al ritorno la visibilità era normale, ci siamo accorti che si trattava del ripiano di un lungo tavolo.
Alle 11,28 siamo arrivati alla fossa della neve, una delle tante disseminate in questa zona e in altri punti dei Peloritani.
Si tratta di ampie e profonde buche a pianta quadrata o circolare, rivestite di pietre a secco, utilizzate dai cosiddetti nivaroli fino a metá del secolo scorso per produrre e conservare il ghiaccio.
I nivaroli raccoglievano la neve caduta in inverno e la pestavano e compattavano in modo da formare una grande massa di ghiaccio che veniva coperta da uno spesso strato di foglie di felce e terra in modo da potersi conservare fino ai mesi estivi.
In questa stagione i nivaroli andavano a prelevarlo tagliandolo a blocchi a forma di parallelepipedo , lo avvolgevano in teli di juta e lo trasportavano a valle per venderlo.
Carmelo ricorda che, quando era piccolo, questo ghiaccio era usato nella ghiacciaia di casa ( un mobiletto in legno con un vano rivestito di lamierino di zinco, con un foro per fare defluire l’acqua) per conservare al fresco gli alimenti.
Dopo qualche centinaio di metri la comoda strada si restringe e diventa un sentiero sempre più impervio, con il fondo irregolare in parte a scaloni e ciottoli e con il tratto finale parzialmente scavato sul fianco della montagna e indicato approssimativamente solo con qualche sbiadito segnale bianco e rosso del CAI.
Intorno alle 12,00 abbiamo affrontato le ultime centinaia di metri arrampicandoci letteralmente e superando tratti con pendenze intorno al 25 percento
Finalmente, sempre immersi nella nebbia, siamo arrivati ad un picchetto che segna l’inizio del pianoro e alle 12,25 , a sei chilometri da Culma Caravaggi, abbiamo raggiunto la croce in legno con vicina una panchetta in legno dove qualcuno ne ha approfittato per fare un veloce spuntino.
Scattate le inevitabili foto siamo andati a zonzo a cercare la famosa grotta che, secondo Marcello e Tonino che l’hanno vista è identificabile per la presenza di numerosi santini in prossimità dell’entrata.
Alberto, in una fenditura distante meno di cento metri dalla croce in direzione est, ha trovato una grotta che ha percorso per una decina di metri senza peraltro trovare nessun segno identificativo.
Visto il perdurare della nebbia abbiamo deciso di ridiscendere per trovare un luogo riparato per pranzare, ma alle 13,00 in punto , come preannunciato da Ciccio, le nuvole hanno improvvisamente iniziato a diradarsi ed è uscito il tanto agognato sole, salutato dai nostri applausi.
Siamo tornati indietro e abbiamo raggiunto il cippo improvvisato che identifica la cima più alta di Monte Scuderi a 1253 metri, distante solo un centinaio di metri dalla croce, ma prima invisibile nel mare di nuvole.
Trovato un punto riparato , intorno alle 13,10 ci siamo fermati a pranzare.
Un nutrito gruppo del CAI di Catania, composto da quasi trenta escursionisti provenienti dalla Santissima ci ha raggiunto mentre mangiavamo e Marcello, che aveva appena finito di distribuire le spille a tutti noi, ha regalato loro 4 spillette.
I Monti Peloritani, nella cartografia antica, sono indicati anche col toponimo di “Monti Nettuni” o “Saturni”. Il riferimento a Nettuno è legato alle tradizioni mitologiche di Messina che nell’antichità eresse templi dedicati a questo suo nume tutelare. Saturno invece, ritenuto il primo manipolatore di metalli, enfatizza la nutrita presenza di filoni metalliferi in questa parte di territorio. “Mons Saturni”, in particolare, fu chiamato Monte Scuderi e anche “Monte Scuteri” e “Monte Scueri” nei documenti medievali. L’origine potrebbe essere ricondotta al termine medievale “Scudeli”, cioè ciotola o scodella per indicare i vasi che furono trovati abbondanti nel pianoro del Monte.
Secondo Aldrisi, geografo arabo alla corte normanna, sul monte c’era una fortezza bizantina fino all’arrivo degli arabi nel 902 d.c.
Il monte ha una posizione importante per la difesa di tutto il territorio del Valdemone per la possibilità di comunicare rapidamente con Messina e con Roccella.
Ricorrente, nelle cartografie settecentesche, è il toponimo di “Monte Spreverio” o “Monte Spaveri” o “Monte Sparviero”, ad indicare la presenza degli omonimi rapaci ma anche dalla forma che il Monte assume visto da sud. “Mons Saturnius”, anch’esso presente nelle antiche cartografie, ricorderebbe la leggenda che indica nelle viscere di Monte Scuderi la sepoltura di Saturno. La presenza del dio, insieme alla “Trovatura”, troverebbe così la motivazione della sua origine: lo sfruttamento, antichissimo, dei filoni metalliferi.
Nella grande sala della Grotta del Pavone, su una parete, è incisa la scritta in tedesco “Teuffechel”, cioè “Diabolico”, con l’anno 1727. Evidentemente si trattò di un minatore tedesco che volle così esprimere la sua impressione su ciò che andava vedendo.
Secondo le numerose fonti antiche,la Trovatura, cioè il tesoro nascosto consisterebbe in tre casse piene di monete d’oro, d’argento e di rame, oltre a una chioccia con ventuno pulcini d’oro che corrono pigolando, rendendo difficile la loro cattura. La leggenda vuole che un non meglio identificato mago re Saturno, prima di morire, lasciò con un incantesimo in custodia alla propria figlia nelle viscere di Monte Scuderi. il tesoro di ori e oggetti preziosi che aveva raccolti nella sua vita.
Secondo il credo popolare ci sono particolari condizioni da osservare per impadronirsi del tesoro.
Del gruppo di persone che intendono scoprire il tesoro devono far parte un sacerdote e una giovinetta casta e pura.
In una sola notte di luna piena si deve filare, torcere e biancheggiare il filo col quale si deve tessere la tela per confezionare un tovagliolo.
Nella stessa notte si devono pescare pesci nel mare di Alì Marina e, velocemente, portarli sul Monte facendoli giungere ancora vivi.
Qui, i pesci devono essere cotti e mangiati appoggiati sul tovagliolo davanti alla Grotta del Pavone che custodisce la “Trovatura”.
Terminata la colazione con i pesci prima dell’alba, i cercatori del tesoro possono entrare nella Grotta per la “Ciacca du ‘mpisu” (fenditura dell’impiccato) dove in fondo incontrano un grande serpente che vi si attorciglia leccandoli sul viso. Non dovranno avere paura né invocare santi, altrimenti saranno all’istante dispersi in lontane contrade. Superata questa prima prova, appare la ragazza custode del tesoro che mostra loro le ricchezze al di là di un grande lago che sarà possibile attraversare una volta che si troverà una barchetta, dopo la lettura di formule esorcistiche da parte del sacerdote. Dopo l’attraversamento del lago, invaso da onde paurose, raggiunta l’altra riva i cercatori verranno assaliti da un enorme cavallo che girerà attorno al tesoro per impedire loro di raggiungerlo. Se tutti resteranno uniti senza paura contando “tredici volte tredici”, la bella custode sarà liberata dall’incantesimo e quindi potranno avere il tesoro.
Si racconta che nel 1800 un prete di nome Rau, insieme ad alcuni abitanti di Alì, si recarono sul Monte decisi ad impadronirsi del tesoro. Davanti al cavallo inferocito, però, uno di loro invocò la Vergine: subito furono sollevati dalla Grotta e si trovarono alcuni sulle coste della Calabria e altri sulla cima dell’Etna.
Consumato il pranzo siamo andati tutti in cima per le foto di rito e gironzolato sul pianoro , tutto verde di erba e costellato da piante dai fiori gialli, da un estremo all’altro godendo della vista dei monti che poco per volta si vedevano tra le nuvole che via via , si diradavano, da ‘Ntinnammare a Monte Soro.
Alle 13, 50, a 7,2 chilometri dalla partenza, abbiamo ripreso il sentiero di ritorno attenti a non “sdiruparsi” ora che la visibilità ritrovata ci faceva rendere conto dei burroni che ci circondavano.
Alle 14,40, dopo un chilometro e seicento metri abbiamo raggiunto il cartello della Fossa della neve a 1009 msl.
Lungo questo tratto di strada Marcello, Carmelo, Alberto, accompagnati anche da Stefania, Serena e Francesco hanno ” stonato” alcuni canti scout nel ricordo dei bei tempi andati.
Ad un certo punto , arrivati alla deviazione che porta allo stradone militare, Alberto ha proposto di arrivare a ‘Ntinnammare e Serena lo ha seguito, ma richiamati dal resto del gruppo e verificato che la distanza da percorrere superava i sedici chilometri con tempo di percorrenza stimato di almeno sei ore, hanno desistito tornando nei ranghi.
Breve sosta alla fontana e al belvedere di puntale Crimastò , adesso inondato dal caldo sole, dove abbiamo scattato alcune foto di gruppo.
Il rimanente tratto di strada ci ha permesso finalmente di apprezzare la montagna in tutta la sua imponenza e i bellissimi scenari circostanti.
Quasi all’arrivo Francesco, Andrea, Alberto e Carmelo hanno visto levarsi in volo due uccelli dalle enormi ali , ma purtroppo non sono stati in grado di identificarli.
Arrivo alle macchine alle 16, 20 quando ha iniziato a cadere qualche goccia di pioggia. Secondo Komoot e altre applicazioni la lunghezza complessiva percorsa è stata di circa 13,5 chilometri.
Indossati indumenti asciutti siamo tornati in macchina verso Itala facendo una breve sosta alla chiesa arabo normanna di San Pietro e Paolo, purtroppo chiusa .
Trasferimento alla sala Ausilia a prendere un dolce dalle 17,40 fino alle 17,55 e ritorno a Messina, dove siamo arrivati intorno alle 18,30.
Anche il trekking di oggi, più volte rimandato, è stato bellissimo e, come altre volte è stato valido il detto”fortuna audentes iuvat”.