Trekking urbano a Castiglione di Sicilia del 22 settembre 2024 .
Partecipanti: Marcello Aricò, Mike Sfravara, Nina Coiro, Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Tonino Seminerio, Giusy Quartaronello, Alessia Seminerio, Ciccio Briguglio, Chiara Calarco, Giovanna Mangano, Gabriella Panarello, Antonella Zangla, Pinella Dini, Tuccio Novella, Santinella Rotondo, Mariella Brancati, Rosalba Fera, Caterina Ioffrida, Antonio Zampaglione.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata, viaggio in macchina, arrivo a Castiglione intorno alle 10,00 e incontro con la signora Cettina Cacciola che è stata la nostra guida per tutta l’ interessante visita del bellissimo borgo, inserito nel circuito dei borghi più belli d’Italia e il cui territorio è stato dichiarato di “notevole importanza pubblica” con decreto regionale del 21 giugno 1994.
Dopo averne esposto l’interessante storia, che parte dagli insediamenti nel neolitico e nella età del bronzo , siamo andati a visitare le numerose chiese, iniziando da quella di San Giuseppe in cui , nella parte destra dell’abside è visibile un affresco di San Leonardo ( a cui nel medioevo era dedicata la prima chiesetta) che , insieme alla Madonna della Catena, è il protettore di chi è ingiustamente condannato per ” malagiustizia” a cui si rivolgevano i condannati.
Nella volta centrale c’è un affresco del 1780 del pittore Antonio Santagati raffigurante il ” Transito di San Giuseppe “.
Interessante la cripta ( l’antica chiesa medievale) in cui si trovano i ” colatoi” usati per il disseccamento dei cadaveri, successivamente posti nelle nicchie a parete. I colatoi sono particolarmente apprezzati dai viaggiatori stranieri molto interessati a tutto quanto è tenebroso e misterioso, che seguendo una moda attuale tra l’altro, cercano in paese case abbandonate da fotografare sia dall’ esterno che dall’interno.
Molto interessante un quartiere del borgo in cui le costruzioni sono realizzate con l’ impiego di pietra lavica e arenaria. Nel passato i poveri iniziavano la costruzione impiegando pietr lavica, ma una volta finiti i soldi continuavano la costruzione utilizzando l’ arenaria , mentre i nobili utilizzavano entrambi i materiali per creare un effetto cromatico particolare.
Un esempio è un palazzo i cui balconi possono reggere al confronto di altri famosi ovunque, come quelli di Palazzolo Acreide, di Scicli e di Noto.
I mensoloni di sostegno sono 12 mascheroni in pietra lavica che che rappresentano i 12 mesi dell’anno e sono figure apotropaiche con la funzione di scacciare gli spiriti maligni.
La chiesa madre di San Pietro e Paolo sorge all’interno di quello che un tempo costituiva un sistema difensivo medioevale situato nella parte superiore della collina su cui sorge Castiglione di Sicilia. Il torrione, che nella parte sommitale ospita la cuspide del campanile e la cui parte inferiore costituisce l’abside della chiesa, un tempo probabilmente era un mastio, appartenente ad uno dei quattro castelli costruiti da Ruggero II. La tradizione vuole che la chiesa sia stata fondata proprio dal conte Ruggero II, figlio di Ruggero I, il conquistatore della Sicilia e padre di Costanza D’Altavilla, nel 1105.
Pare che la chiesa, durante il regno normanno, abbia goduto di grandi privilegi arrivando ad estendere la sua giurisdizione su centri come Francavilla, Linguaglossa, Roccella, Calatabiano e Mascali. Agli inizi del XV secolo, quando i monaci di san Benedetto abbandonarono l’abbazia della Santissima Trinità, situata fuori dal centro abitato e si stabilirono in locali attigui alla chiesa, il tempio sacro divenne il loro edificio di culto. La chiesa possedeva una campana, “detta mezzana”, del peso di 30 cantari, recante un’iscrizione in lettere gotiche, che fu ritrovata di fronte al convento del Carmelo dove venne nascosta in occasione dell’arrivo degli arabi. Elevata a chiesa Matrice sin dalla sua fondazione, nel corso dei secoli, la chiesa è stata oggetto di donazioni che hanno permesso di impreziosire il suo interno e di portare al termine importanti lavori di restauro. L’abate Giuseppe Coniglio, morto nel 1666, lasciò alla chiesa l’ingente somma di 6 mila onze che fu nascosta all’interno di una tomba dall’arciprete Cesare Gioeni per difenderla dalle mire del principe di Malvagna che più volte tentò di averla in prestito. Giacomo Gioeni, successore di Cesare Gioeni, indicò erede universale dei suoi beni la chiesa e si preoccupò del restauro dei danni causati dal terribile terremoto del 1693. L’arciprete si adoperò anche per la costruzione del campanile. Il 18 novembre del 1717 il campanile e la chiesa, su richiesta di don Giacomo Gioeni, vennero consacrati da mons. Migliaccio, vescovo di Messina, perché allora Castiglione apparteneva a questa diocesi. Antonio Sardo, arciprete dal 1781 al 1823, riuscì a far ottenere alla chiesa importanti privilegi. Alla sua morte gli successe il nipote Giovan Battista Calì che si occupò dei lavori di restauro della chiesa che era stata chiusa al culto in seguito al terremoto del 1818, durante il quale era crollata la parte sommitale del campanile. Nel 1837, dopo diciannove anni di intensi lavori, le sue porte vennero riaperte per accogliere i fedeli. A Giovan Battista Calì si deve anche la fondazione della biblioteca Villadicanense, arricchita da preziosi incunaboli e manoscritti e la creazione di un archivio dove vennero raccolti i documenti salvati in seguito a numerosi incendi. Il 27 giugno 1889 la chiesa fu riconsacrata dal primo vescovo di Acireale Gerlando Maria Genuardi e da Luigi Cannavò, vescovo di Smirne, nativo proprio di Castiglione.
Attualmente la chiesa si presenta ad un’unica navata terminante con un’abside circolare molto accentuata e non rivela traccia delle absidi laterali. L’abside, nella parte inferiore esterna, si presenta abbellita da conci di pietra nera dell’Etna a cui seguono filari di pietra arenaria alternati a pietra nera. La restante parte è realizzata in pietra arenaria che continua fino al coronamento il quale si presenta arricchito da mensole che sostengono archetti polilobati a forma di conchiglia e da una cornice che in origine doveva estendersi su tutta la costruzione. La struttura muraria dell’abside si presenta realizzata con conci regolari perfettamente tagliati, caratteristica che si ripresenta anche nelle finestre laterali, strette monofore che un tempo illuminavano la navata. La dimensione dei conci perfettamente quadrati, la stessa tecnica della messa in opera e l’utilizzo della pietra nera e arenaria, rivelano tecniche costruttive tipiche dell’epoca sveva, mentre la presenza degli archetti su mensole, tradiscono l’influenza dell’architettura normanna. Sull’austera facciata si aprono l’ingresso principale e un’ampia finestra da cui riceve oggi luce la navata.
All’ interno si trova, scolpito su un unico tronco d’arancio, il Cristo Crocifisso con alla sua sinistra la lancia con cui, secondo la tradizione, Longino colpì il costato di Gesù. L’opera fu attribuita a fra Umile da Petralia, ma è di un artista di scuola messinese che ha sfruttato sapientemente le venature del legno per rappresentare le vene gonfie del Cristo pochi istanti prima di morire.
Altra attrazione è costituita dalla meridiana, commissionata dall’arciprete mons. Sardo Turcis, fu progettata nel 1882 dall’astronomo palermitano Temistocle Zona, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Palermo. L’anno successivo, fu pubblicato un opuscolo contenente le tavole che riportano le ore “all’italiana e all’europea”. Unico orologio solare presente nella Valle dell’Alcantara è ancora funzionante grazie allo gnomone, da cui entra il raggio di luce che collocandosi sulla linea mediana della meridiana, segna il mezzogiorno.
Accanto alla chiesa di San Pietro sorge quella di San Benedetto, semplice nella sua linearità, la cui facciata è ornata dalle statue di San Benedetto e di Santa Scolastica. All’interno si può ammirare una splendida Madonna col Bambino, tela del pittore acese Vito d’Anna, sicuramente una delle opere più pregevoli che Castiglione possegga.
Nelle adiacenze della chiesa intorno al 1400 era stato fondato un monastero da una pia donna, chiamata Elenuccia, sotto il titolo di Santa Maria del Riposo dove venivano rinchiuse le ragazze delle famiglie nobili che venivano costrette a diventare monache.
All’interno della Chiesa, comunicante con il Monastero la ruota dove venivano abbandonati i bambini nati fuori dal matrimonio.
La costruzione della chiesa di Sant’Antonio abate iniziò nel 1601, successivamente al crollo, causato da una frana, dell’antica cappella che sorgeva sulle terme romane. Nel 1500 la cappella era curata da una Confraternita ,formata da 33 conti di Castiglione, legata alla potente congregazione dei Bianchi. In seguito si sciolse e si ricorse all’apporto economico della Confraternita delle Anime del Purgatorio poi sostituita da quella di Sant’Antonio abate.
Alla fine del Seicento la chiesa riceveva , soprattutto da parte della famiglia Sardo, e da ricchi borghesi , importanti lasciti e benefici. Il rivestimento lapideo del prospetto è settecentesco. La particolarità plastica della facciata concava è un artificio che gli architetti siciliani di scuola romana avevano appreso dalla lezione di Francesco Borromini (1599-1667). Nella chiesa di Castiglione l’ondulamento plastico del muro in facciata, pur nella sua limitata estensione, è scandito da lesene, volute, lanterne, sculture, tutte perfettamente inserite tra gli elementi architettonici. In soli due ordini, il tuscanico alla base e lo ionico nella seconda elevazione si concentra la ricerca chiaroscurale e la tensione della forma organica inserita nell’architettura. Ma la scenografica teatralità del prospetto e il dinamismo delle sue linee ondulate è subito contraddetto dai robusti pilastri angolari in pietra lavica e dal sobrio campanile (con terminazione a bulbo) che rinserrano la composizione architettonica e restituiscono alla facciata stessa quei connotati di rigorosa geometria che risentono ancora della lezione classica.
L’interno, a unica navata, con 12 pseudo colonne in marmo rosa di San Marco D’Alunzio, è ammirevole per numero di opere d’arte, in particolare quelle riguardanti sant’ Antonio abate, tra le quali quella in cui sant’Antonio è tentato da Satana ( nelle sembianze di una bellissima giovane con le ali di pipistrello) a cui risponde leggendo la Bibbia.
Molto bello è l’altare maggiore con gli intarsi marmorei del paliotto (opera magistrale di Tommaso Amato, di scuola messinese) realizzato con marmo e pasta vitrea, in sostituzione delle costosissime pietre preziose , con cui si sono ottenuti effetti spettacolari.
Attorno al culto della Madonna della Catena ruotano le vicende costruttive della odierna chiesa, oggetto di continui miglioramenti e ampliamenti, soprattutto in corrispondenza di particolari anniversari legati ad eventi miracolosi. La basilica, in posizione est-ovest, sorge nelle vicinanze della rupe su cui è edificato il castello di Lauria, che costituisce il punto più elevato della struttura urbana di impianto medievale, da cui si domina l’intera vallata. Il culto si diffuse in città dal XV secolo, ed ebbe maggiore impulso a metà del Cinquecento quando venne commissionata la scultura marmorea, probabilmente dalla famiglia Gioeni , e collocata nella primitiva chiesa di San Giacomo extra moenia. Un fatto prodigioso , avvenuto il 12 maggio 1612, quando la statua iniziò a sudare, diede maggiore impulso alla devozione nei confronti della Vergine facendo convergere gli abitanti nella costruzione di un edificio più dignitoso che fosse posto all’interno della cerchia muraria. A questo evento si aggiunse l’editto che nel 1623 emanò Filippo IV re di Spagna con il quale si stabiliva che in tutto il regno la Vergine Maria dovesse essere proclamata patrona e protettrice che diede impulso alla costruzione della nuova chiesa a partire dal 1655, abbandonando col tempo il vetusto edificio che era stato colpito da un movimento franoso. Da alcuni legati testamentari apprendiamo che la chiesa possedeva due cappelle, una dedicata a san Giacomo e l’altra alla Madonna della Catena . Se ne desume che la statua marmorea della Vergine fu qui traslata .
Per quanto riguarda la cronologia del manufatto, si possiedono notizie sulla volontà della Congregazione di San Giacomo di eseguire nel 1554 una statua della Madonna della Catena presso un artista messinese, notizia che si lega alle intenzioni della famiglia Gioeni di creare una scultura devozionale che portasse tale titolo,ma tale commessa restò inevasa. In mancanza di documenti probanti, gli storici dell’arte hanno avanzato ipotesi sui nomi legati alla bottega di Giacomo Gagini che avrebbe scolpito i candidi volti della Vergine e del Bambino, lasciando ai discepoli, spesso alle prime armi, il completamento del manufatto.
Il blocco marmoreo, di sette quintali circa di peso, è poggiato su una base ove sono scolpiti alcuni episodi legati al miracolo della Catena avvenuto a Palermo nel 1392, in cui tre prigionieri condannati a morte vengono liberati dalle catene grazie all’intervento della Vergine
La festa di maggio risale ad un evento, avvenuto nel marzo del 1809, durante il quale il simulacro della Madonna portato in processione bloccò una intensa eruzione dell’Etna che distrusse parte dei territori coltivati in zona Cirmanera, da cui dipendeva l’economia della popolazione.
La statua, ricoperta di ori, donati dai fedeli dopo il furto di quelli preesistenti e vigilata per tre giorni dai Carabinieri, è portata in processione ogni cinque anni.
L’odierna struttura architettonica della chiesa, trasformata a croce greca con gli ultimi ampliamenti, è posta al culmine di una scalinata in basalto lavico, lo stesso materiale utilizzato per lo zoccolo di fondazione.
Nella chiesa si conserva una pregevole tela raffigurante la Madonna della lettera, patrona di Messina. Il dipinto, realizzato nel secolo XVII da ignoto pittore, raffigura la Vergine Maria benedicente con in mano la lettera inviata ai Messinesi.
La bellezza e l’unicità del dipinto sta nel bel festone dipinto dall’ignoto artista attorno l’effige della Madonna con sterlizie bianche e tulipani che all’ epoca avevano un valore inestimabile.
Un tempo appartenente alla archidiocesi di Messina, dal 1844 ricade nella diocesi di Acireale. É stata elevata a Basilica Minore il 30 ottobre 1985 da Giovanni Paolo II.
Il castello grande ,probabilmente edificato nel periodo normanno-svevo, sopra un casale arabo , ancora prima presidio bizantino, e infeudato a Ruggero di Lauria da cui prese il nome nel 1283, fu chiamato prima “Quastallum” da Edrisi, poi Castillo in un diploma di Ruggero II e Castillio in un diploma di Papa Eugenio III. Da qui derivò, evidentemente, la scelta del nome per il paese.
E’ tuttavia anche possibile che il nome “Castiglione” faccia riferimento a “Castello del Leone”, in quanto lo stemma scelto raffigurava proprio un castello con due leoni accovacciati. Probabilmente si scelse questo soggetto con lo scopo di attribuire una certa regalità al paese.
Il castello fu costruito su una roccia e strutturato su due livelli, con una configurazione concepita per risultare inviolabile da eventuali offensive nemiche. Questa scelta, vista la sua posizione molto alta, permetteva di vedere i nemici anche da molto lontano.
All’interno dell’edificio erano presenti stalle, fienili, scuderie, abitazioni di manutentori e servi, nonché le carceri. Esse erano composte da piccole celle chiamate “dammusi” con lunghezza di due metri per 1 di altezza. Al suo interno venivano incarcerati sia avversari politici che normali delinquenti. Ancora presenti grosse cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, le quali durante gli assedi fungevano anche come nascondiglio per i beni più preziosi.
Una zona era poi adibita alla coniatura delle monete, una vera propria piccola zecca nella parte più alta del castello.
Sotto il castello c’è una delle tre enoteche regionali , quella per la Sicilia orientale ( le altre due sono ad Alcamo e a Vittoria) centro di promozione e valorizzazione dei vini siciliani,frequentate dai wine lovers che visitano anche le settanta aziende vinicole del territorio, molte di proprietà di stranieri, che producono eccellenti vini.
In qualche proprietà vegeta ancora una varietà di vite autoctona che resistette alla distruzione dei vigneti causata dalla peronospera nel secolo scorso.
Le aziende sono fonte di lavoro per tutto il territorio e producono vini bianchi, rossi, rosati e un particolare spumante , molto apprezzato,ottenuto con nero mascalese.
Interessante la mostra di lavori di ricamo in punto inglese realizzati da brave ricamatrici del luogo che, già da secoli realizzavano manufatti che, venduti, contribuivano al reddito familiare.
Dopo un parco pranzo al sacco , consumato nei giardini, trasferimento in macchina alla cuba di Santa Domenica.
Uno studio degli inizi del XX secolo, di E.H. Freshfield, data la costruzione della Cuba di S. Domenica alla seconda metà dell’XI secolo, probabilmente come grangia del monastero basiliano del S.Salvatore della Placa (Francavilla). Alcuni aspetti architettonici della Cuba confermano l’ipotesi che si trattava di un edificio tipico del culto greco-ortodosso che, già dagli inizi della dominazione normanna, ottenne i favori del Conte Ruggero e in seguito del figlio Ruggero II. A partire dal 1080 e fino al 1130 si assiste infatti ad un’intensa attività legata all’edificazione di monasteri greci in tutta la Sicilia, soprattutto orientale, con una forte concentrazione proprio in Valdemone.
L’edificio, che sorge in luogo isolato, è basato su forme essenzialmente cubiche, a croce latina con pianta quadrata, la facciata, a due ordini, si presenta tripartita con un corpo centrale maggiore e due lati più bassi e chiusi a spiovente. Due possenti contrafforti animano il primo primo ordine su cui si apre il portale d’accesso al corpo centrale. Secondo alcuni accertamenti la facciata sarebbe stata preceduta da un portico o nartece per penitenti e catecumeni, i contrafforti potrebbero essere cosi delle sopravvivenze dello stesso portico.
Il prospetto principale presenta due ingressi, quello centrale caratterizzato da un arco a tutto sesto con lunetta e un ingresso laterale, a sinistra, che permetteva l’accesso direttamente alla navata laterale corrispondente. Il prospetto è arricchito anche da un’ampia finestra, un tempo una grande bifora, da cui, secondo la tradizione, durante la veglia pasquale la luce della luna piena, entrando nell’edificio, dava inizio alla Pasqua. L’edificio sacro è un piccolo trionfo di policromia, la tecnica costruttiva è rappresentata essenzialmente da pietrame lavico leggermente sbozzato, inzeppato da frammenti di laterizi legati da una buona malta. Anche gli archi delle finestre sono vivacemente impreziositi da questa tricromia cosi come i due ingressi e la piccola bifora in corrispondenza dell’abside.
All’interno il presbiterio, diviso secondo la tradizione bizantina in ” protesis” (parte sinistra), ” bema” (parte centrale), e ” diaconicon” (parte destra), è composto da un abside semicircolare, l’aula invece risulta divisa in tre navate da una coppia di pilastri che sorreggono altrettante arcate a tutto sesto. Interessanti si presentano le soluzioni utilizzate per la copertura dell’edificio, la porzione centrale del transetto e le navate laterali sono coperte da volte a crociera su mensole mentre le due navate sono coperte da volte a botte. Caratteristica anche la soluzione architettonica utilizzata per sorreggere la cupola, si tratta della tecnica a ” muqarnas” (nido d’ape) di probabile origine islamica, diffusa in buona parte del Mediterraneo e presente in Sicilia in molti edifici di epoca normanno-sveva.
Della Cuba di Santa Domenica manca ad oggi uno studio strutturale completo, soprattutto in considerazione dei diversi interventi di restauro che non hanno prodotto nessuna approfondita pubblicazione.
Visita alla cantina Tornatore, una azienda vinicola che occupa circa settanta ettari ,dove una simpatica e preparata ragazza ci ha raccontato la storia della azienda, illustrato con dovizia di particolari i metodi di conservazione del vino, dipendenti dal tipo di uva, dei tempi di produzione etc. e ci ha fatto visitare i loro vigneti.
Degustazione di Etna bianco ed Etna rosso accompagnato da tocchi di pane di casa condito con olio e origano saltati in padella.
Rientro a Messina, in ordine sparso, con arrivo intorno alle 18,00.
Il presente diario è stato redatto grazie alle indicazioni fornite da Marcello Aricò.
Partecipanti: Marcello Aricò, Mike Sfravara, Nina Coiro, Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Tonino Seminerio, Giusy Quartaronello, Alessia Seminerio, Ciccio Briguglio, Chiara Calarco, Giovanna Mangano, Gabriella Panarello, Antonella Zangla, Pinella Dini, Tuccio Novella, Santinella Rotondo, Mariella Brancati, Rosalba Fera, Caterina Ioffrida, Antonio Zampaglione.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata, viaggio in macchina, arrivo a Castiglione intorno alle 10,00 e incontro con la signora Cettina Cacciola che è stata la nostra guida per tutta l’ interessante visita del bellissimo borgo, inserito nel circuito dei borghi più belli d’Italia e il cui territorio è stato dichiarato di “notevole importanza pubblica” con decreto regionale del 21 giugno 1994.
Dopo averne esposto l’interessante storia, che parte dagli insediamenti nel neolitico e nella età del bronzo , siamo andati a visitare le numerose chiese, iniziando da quella di San Giuseppe in cui , nella parte destra dell’abside è visibile un affresco di San Leonardo ( a cui nel medioevo era dedicata la prima chiesetta) che , insieme alla Madonna della Catena, è il protettore di chi è ingiustamente condannato per ” malagiustizia” a cui si rivolgevano i condannati.
Nella volta centrale c’è un affresco del 1780 del pittore Antonio Santagati raffigurante il ” Transito di San Giuseppe “.
Interessante la cripta ( l’antica chiesa medievale) in cui si trovano i ” colatoi” usati per il disseccamento dei cadaveri, successivamente posti nelle nicchie a parete. I colatoi sono particolarmente apprezzati dai viaggiatori stranieri molto interessati a tutto quanto è tenebroso e misterioso, che seguendo una moda attuale tra l’altro, cercano in paese case abbandonate da fotografare sia dall’ esterno che dall’interno.
Molto interessante un quartiere del borgo in cui le costruzioni sono realizzate con l’ impiego di pietra lavica e arenaria. Nel passato i poveri iniziavano la costruzione impiegando pietr lavica, ma una volta finiti i soldi continuavano la costruzione utilizzando l’ arenaria , mentre i nobili utilizzavano entrambi i materiali per creare un effetto cromatico particolare.
Un esempio è un palazzo i cui balconi possono reggere al confronto di altri famosi ovunque, come quelli di Palazzolo Acreide, di Scicli e di Noto.
I mensoloni di sostegno sono 12 mascheroni in pietra lavica che che rappresentano i 12 mesi dell’anno e sono figure apotropaiche con la funzione di scacciare gli spiriti maligni.
La chiesa madre di San Pietro e Paolo sorge all’interno di quello che un tempo costituiva un sistema difensivo medioevale situato nella parte superiore della collina su cui sorge Castiglione di Sicilia. Il torrione, che nella parte sommitale ospita la cuspide del campanile e la cui parte inferiore costituisce l’abside della chiesa, un tempo probabilmente era un mastio, appartenente ad uno dei quattro castelli costruiti da Ruggero II. La tradizione vuole che la chiesa sia stata fondata proprio dal conte Ruggero II, figlio di Ruggero I, il conquistatore della Sicilia e padre di Costanza D’Altavilla, nel 1105.
Pare che la chiesa, durante il regno normanno, abbia goduto di grandi privilegi arrivando ad estendere la sua giurisdizione su centri come Francavilla, Linguaglossa, Roccella, Calatabiano e Mascali. Agli inizi del XV secolo, quando i monaci di san Benedetto abbandonarono l’abbazia della Santissima Trinità, situata fuori dal centro abitato e si stabilirono in locali attigui alla chiesa, il tempio sacro divenne il loro edificio di culto. La chiesa possedeva una campana, “detta mezzana”, del peso di 30 cantari, recante un’iscrizione in lettere gotiche, che fu ritrovata di fronte al convento del Carmelo dove venne nascosta in occasione dell’arrivo degli arabi. Elevata a chiesa Matrice sin dalla sua fondazione, nel corso dei secoli, la chiesa è stata oggetto di donazioni che hanno permesso di impreziosire il suo interno e di portare al termine importanti lavori di restauro. L’abate Giuseppe Coniglio, morto nel 1666, lasciò alla chiesa l’ingente somma di 6 mila onze che fu nascosta all’interno di una tomba dall’arciprete Cesare Gioeni per difenderla dalle mire del principe di Malvagna che più volte tentò di averla in prestito. Giacomo Gioeni, successore di Cesare Gioeni, indicò erede universale dei suoi beni la chiesa e si preoccupò del restauro dei danni causati dal terribile terremoto del 1693. L’arciprete si adoperò anche per la costruzione del campanile. Il 18 novembre del 1717 il campanile e la chiesa, su richiesta di don Giacomo Gioeni, vennero consacrati da mons. Migliaccio, vescovo di Messina, perché allora Castiglione apparteneva a questa diocesi. Antonio Sardo, arciprete dal 1781 al 1823, riuscì a far ottenere alla chiesa importanti privilegi. Alla sua morte gli successe il nipote Giovan Battista Calì che si occupò dei lavori di restauro della chiesa che era stata chiusa al culto in seguito al terremoto del 1818, durante il quale era crollata la parte sommitale del campanile. Nel 1837, dopo diciannove anni di intensi lavori, le sue porte vennero riaperte per accogliere i fedeli. A Giovan Battista Calì si deve anche la fondazione della biblioteca Villadicanense, arricchita da preziosi incunaboli e manoscritti e la creazione di un archivio dove vennero raccolti i documenti salvati in seguito a numerosi incendi. Il 27 giugno 1889 la chiesa fu riconsacrata dal primo vescovo di Acireale Gerlando Maria Genuardi e da Luigi Cannavò, vescovo di Smirne, nativo proprio di Castiglione.
Attualmente la chiesa si presenta ad un’unica navata terminante con un’abside circolare molto accentuata e non rivela traccia delle absidi laterali. L’abside, nella parte inferiore esterna, si presenta abbellita da conci di pietra nera dell’Etna a cui seguono filari di pietra arenaria alternati a pietra nera. La restante parte è realizzata in pietra arenaria che continua fino al coronamento il quale si presenta arricchito da mensole che sostengono archetti polilobati a forma di conchiglia e da una cornice che in origine doveva estendersi su tutta la costruzione. La struttura muraria dell’abside si presenta realizzata con conci regolari perfettamente tagliati, caratteristica che si ripresenta anche nelle finestre laterali, strette monofore che un tempo illuminavano la navata. La dimensione dei conci perfettamente quadrati, la stessa tecnica della messa in opera e l’utilizzo della pietra nera e arenaria, rivelano tecniche costruttive tipiche dell’epoca sveva, mentre la presenza degli archetti su mensole, tradiscono l’influenza dell’architettura normanna. Sull’austera facciata si aprono l’ingresso principale e un’ampia finestra da cui riceve oggi luce la navata.
All’ interno si trova, scolpito su un unico tronco d’arancio, il Cristo Crocifisso con alla sua sinistra la lancia con cui, secondo la tradizione, Longino colpì il costato di Gesù. L’opera fu attribuita a fra Umile da Petralia, ma è di un artista di scuola messinese che ha sfruttato sapientemente le venature del legno per rappresentare le vene gonfie del Cristo pochi istanti prima di morire.
Altra attrazione è costituita dalla meridiana, commissionata dall’arciprete mons. Sardo Turcis, fu progettata nel 1882 dall’astronomo palermitano Temistocle Zona, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Palermo. L’anno successivo, fu pubblicato un opuscolo contenente le tavole che riportano le ore “all’italiana e all’europea”. Unico orologio solare presente nella Valle dell’Alcantara è ancora funzionante grazie allo gnomone, da cui entra il raggio di luce che collocandosi sulla linea mediana della meridiana, segna il mezzogiorno.
Accanto alla chiesa di San Pietro sorge quella di San Benedetto, semplice nella sua linearità, la cui facciata è ornata dalle statue di San Benedetto e di Santa Scolastica. All’interno si può ammirare una splendida Madonna col Bambino, tela del pittore acese Vito d’Anna, sicuramente una delle opere più pregevoli che Castiglione possegga.
Nelle adiacenze della chiesa intorno al 1400 era stato fondato un monastero da una pia donna, chiamata Elenuccia, sotto il titolo di Santa Maria del Riposo dove venivano rinchiuse le ragazze delle famiglie nobili che venivano costrette a diventare monache.
All’interno della Chiesa, comunicante con il Monastero la ruota dove venivano abbandonati i bambini nati fuori dal matrimonio.
La costruzione della chiesa di Sant’Antonio abate iniziò nel 1601, successivamente al crollo, causato da una frana, dell’antica cappella che sorgeva sulle terme romane. Nel 1500 la cappella era curata da una Confraternita ,formata da 33 conti di Castiglione, legata alla potente congregazione dei Bianchi. In seguito si sciolse e si ricorse all’apporto economico della Confraternita delle Anime del Purgatorio poi sostituita da quella di Sant’Antonio abate.
Alla fine del Seicento la chiesa riceveva , soprattutto da parte della famiglia Sardo, e da ricchi borghesi , importanti lasciti e benefici. Il rivestimento lapideo del prospetto è settecentesco. La particolarità plastica della facciata concava è un artificio che gli architetti siciliani di scuola romana avevano appreso dalla lezione di Francesco Borromini (1599-1667). Nella chiesa di Castiglione l’ondulamento plastico del muro in facciata, pur nella sua limitata estensione, è scandito da lesene, volute, lanterne, sculture, tutte perfettamente inserite tra gli elementi architettonici. In soli due ordini, il tuscanico alla base e lo ionico nella seconda elevazione si concentra la ricerca chiaroscurale e la tensione della forma organica inserita nell’architettura. Ma la scenografica teatralità del prospetto e il dinamismo delle sue linee ondulate è subito contraddetto dai robusti pilastri angolari in pietra lavica e dal sobrio campanile (con terminazione a bulbo) che rinserrano la composizione architettonica e restituiscono alla facciata stessa quei connotati di rigorosa geometria che risentono ancora della lezione classica.
L’interno, a unica navata, con 12 pseudo colonne in marmo rosa di San Marco D’Alunzio, è ammirevole per numero di opere d’arte, in particolare quelle riguardanti sant’ Antonio abate, tra le quali quella in cui sant’Antonio è tentato da Satana ( nelle sembianze di una bellissima giovane con le ali di pipistrello) a cui risponde leggendo la Bibbia.
Molto bello è l’altare maggiore con gli intarsi marmorei del paliotto (opera magistrale di Tommaso Amato, di scuola messinese) realizzato con marmo e pasta vitrea, in sostituzione delle costosissime pietre preziose , con cui si sono ottenuti effetti spettacolari.
Attorno al culto della Madonna della Catena ruotano le vicende costruttive della odierna chiesa, oggetto di continui miglioramenti e ampliamenti, soprattutto in corrispondenza di particolari anniversari legati ad eventi miracolosi. La basilica, in posizione est-ovest, sorge nelle vicinanze della rupe su cui è edificato il castello di Lauria, che costituisce il punto più elevato della struttura urbana di impianto medievale, da cui si domina l’intera vallata. Il culto si diffuse in città dal XV secolo, ed ebbe maggiore impulso a metà del Cinquecento quando venne commissionata la scultura marmorea, probabilmente dalla famiglia Gioeni , e collocata nella primitiva chiesa di San Giacomo extra moenia. Un fatto prodigioso , avvenuto il 12 maggio 1612, quando la statua iniziò a sudare, diede maggiore impulso alla devozione nei confronti della Vergine facendo convergere gli abitanti nella costruzione di un edificio più dignitoso che fosse posto all’interno della cerchia muraria. A questo evento si aggiunse l’editto che nel 1623 emanò Filippo IV re di Spagna con il quale si stabiliva che in tutto il regno la Vergine Maria dovesse essere proclamata patrona e protettrice che diede impulso alla costruzione della nuova chiesa a partire dal 1655, abbandonando col tempo il vetusto edificio che era stato colpito da un movimento franoso. Da alcuni legati testamentari apprendiamo che la chiesa possedeva due cappelle, una dedicata a san Giacomo e l’altra alla Madonna della Catena . Se ne desume che la statua marmorea della Vergine fu qui traslata .
Per quanto riguarda la cronologia del manufatto, si possiedono notizie sulla volontà della Congregazione di San Giacomo di eseguire nel 1554 una statua della Madonna della Catena presso un artista messinese, notizia che si lega alle intenzioni della famiglia Gioeni di creare una scultura devozionale che portasse tale titolo,ma tale commessa restò inevasa. In mancanza di documenti probanti, gli storici dell’arte hanno avanzato ipotesi sui nomi legati alla bottega di Giacomo Gagini che avrebbe scolpito i candidi volti della Vergine e del Bambino, lasciando ai discepoli, spesso alle prime armi, il completamento del manufatto.
Il blocco marmoreo, di sette quintali circa di peso, è poggiato su una base ove sono scolpiti alcuni episodi legati al miracolo della Catena avvenuto a Palermo nel 1392, in cui tre prigionieri condannati a morte vengono liberati dalle catene grazie all’intervento della Vergine
La festa di maggio risale ad un evento, avvenuto nel marzo del 1809, durante il quale il simulacro della Madonna portato in processione bloccò una intensa eruzione dell’Etna che distrusse parte dei territori coltivati in zona Cirmanera, da cui dipendeva l’economia della popolazione.
La statua, ricoperta di ori, donati dai fedeli dopo il furto di quelli preesistenti e vigilata per tre giorni dai Carabinieri, è portata in processione ogni cinque anni.
L’odierna struttura architettonica della chiesa, trasformata a croce greca con gli ultimi ampliamenti, è posta al culmine di una scalinata in basalto lavico, lo stesso materiale utilizzato per lo zoccolo di fondazione.
Nella chiesa si conserva una pregevole tela raffigurante la Madonna della lettera, patrona di Messina. Il dipinto, realizzato nel secolo XVII da ignoto pittore, raffigura la Vergine Maria benedicente con in mano la lettera inviata ai Messinesi.
La bellezza e l’unicità del dipinto sta nel bel festone dipinto dall’ignoto artista attorno l’effige della Madonna con sterlizie bianche e tulipani che all’ epoca avevano un valore inestimabile.
Un tempo appartenente alla archidiocesi di Messina, dal 1844 ricade nella diocesi di Acireale. É stata elevata a Basilica Minore il 30 ottobre 1985 da Giovanni Paolo II.
Il castello grande ,probabilmente edificato nel periodo normanno-svevo, sopra un casale arabo , ancora prima presidio bizantino, e infeudato a Ruggero di Lauria da cui prese il nome nel 1283, fu chiamato prima “Quastallum” da Edrisi, poi Castillo in un diploma di Ruggero II e Castillio in un diploma di Papa Eugenio III. Da qui derivò, evidentemente, la scelta del nome per il paese.
E’ tuttavia anche possibile che il nome “Castiglione” faccia riferimento a “Castello del Leone”, in quanto lo stemma scelto raffigurava proprio un castello con due leoni accovacciati. Probabilmente si scelse questo soggetto con lo scopo di attribuire una certa regalità al paese.
Il castello fu costruito su una roccia e strutturato su due livelli, con una configurazione concepita per risultare inviolabile da eventuali offensive nemiche. Questa scelta, vista la sua posizione molto alta, permetteva di vedere i nemici anche da molto lontano.
All’interno dell’edificio erano presenti stalle, fienili, scuderie, abitazioni di manutentori e servi, nonché le carceri. Esse erano composte da piccole celle chiamate “dammusi” con lunghezza di due metri per 1 di altezza. Al suo interno venivano incarcerati sia avversari politici che normali delinquenti. Ancora presenti grosse cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, le quali durante gli assedi fungevano anche come nascondiglio per i beni più preziosi.
Una zona era poi adibita alla coniatura delle monete, una vera propria piccola zecca nella parte più alta del castello.
Sotto il castello c’è una delle tre enoteche regionali , quella per la Sicilia orientale ( le altre due sono ad Alcamo e a Vittoria) centro di promozione e valorizzazione dei vini siciliani,frequentate dai wine lovers che visitano anche le settanta aziende vinicole del territorio, molte di proprietà di stranieri, che producono eccellenti vini.
In qualche proprietà vegeta ancora una varietà di vite autoctona che resistette alla distruzione dei vigneti causata dalla peronospera nel secolo scorso.
Le aziende sono fonte di lavoro per tutto il territorio e producono vini bianchi, rossi, rosati e un particolare spumante , molto apprezzato,ottenuto con nero mascalese.
Interessante la mostra di lavori di ricamo in punto inglese realizzati da brave ricamatrici del luogo che, già da secoli realizzavano manufatti che, venduti, contribuivano al reddito familiare.
Dopo un parco pranzo al sacco , consumato nei giardini, trasferimento in macchina alla cuba di Santa Domenica.
Uno studio degli inizi del XX secolo, di E.H. Freshfield, data la costruzione della Cuba di S. Domenica alla seconda metà dell’XI secolo, probabilmente come grangia del monastero basiliano del S.Salvatore della Placa (Francavilla). Alcuni aspetti architettonici della Cuba confermano l’ipotesi che si trattava di un edificio tipico del culto greco-ortodosso che, già dagli inizi della dominazione normanna, ottenne i favori del Conte Ruggero e in seguito del figlio Ruggero II. A partire dal 1080 e fino al 1130 si assiste infatti ad un’intensa attività legata all’edificazione di monasteri greci in tutta la Sicilia, soprattutto orientale, con una forte concentrazione proprio in Valdemone.
L’edificio, che sorge in luogo isolato, è basato su forme essenzialmente cubiche, a croce latina con pianta quadrata, la facciata, a due ordini, si presenta tripartita con un corpo centrale maggiore e due lati più bassi e chiusi a spiovente. Due possenti contrafforti animano il primo primo ordine su cui si apre il portale d’accesso al corpo centrale. Secondo alcuni accertamenti la facciata sarebbe stata preceduta da un portico o nartece per penitenti e catecumeni, i contrafforti potrebbero essere cosi delle sopravvivenze dello stesso portico.
Il prospetto principale presenta due ingressi, quello centrale caratterizzato da un arco a tutto sesto con lunetta e un ingresso laterale, a sinistra, che permetteva l’accesso direttamente alla navata laterale corrispondente. Il prospetto è arricchito anche da un’ampia finestra, un tempo una grande bifora, da cui, secondo la tradizione, durante la veglia pasquale la luce della luna piena, entrando nell’edificio, dava inizio alla Pasqua. L’edificio sacro è un piccolo trionfo di policromia, la tecnica costruttiva è rappresentata essenzialmente da pietrame lavico leggermente sbozzato, inzeppato da frammenti di laterizi legati da una buona malta. Anche gli archi delle finestre sono vivacemente impreziositi da questa tricromia cosi come i due ingressi e la piccola bifora in corrispondenza dell’abside.
All’interno il presbiterio, diviso secondo la tradizione bizantina in ” protesis” (parte sinistra), ” bema” (parte centrale), e ” diaconicon” (parte destra), è composto da un abside semicircolare, l’aula invece risulta divisa in tre navate da una coppia di pilastri che sorreggono altrettante arcate a tutto sesto. Interessanti si presentano le soluzioni utilizzate per la copertura dell’edificio, la porzione centrale del transetto e le navate laterali sono coperte da volte a crociera su mensole mentre le due navate sono coperte da volte a botte. Caratteristica anche la soluzione architettonica utilizzata per sorreggere la cupola, si tratta della tecnica a ” muqarnas” (nido d’ape) di probabile origine islamica, diffusa in buona parte del Mediterraneo e presente in Sicilia in molti edifici di epoca normanno-sveva.
Della Cuba di Santa Domenica manca ad oggi uno studio strutturale completo, soprattutto in considerazione dei diversi interventi di restauro che non hanno prodotto nessuna approfondita pubblicazione.
Visita alla cantina Tornatore, una azienda vinicola che occupa circa settanta ettari ,dove una simpatica e preparata ragazza ci ha raccontato la storia della azienda, illustrato con dovizia di particolari i metodi di conservazione del vino, dipendenti dal tipo di uva, dei tempi di produzione etc. e ci ha fatto visitare i loro vigneti.
Degustazione di Etna bianco ed Etna rosso accompagnato da tocchi di pane di casa condito con olio e origano saltati in padella.
Rientro a Messina, in ordine sparso, con arrivo intorno alle 18,00.
Il presente diario è stato redatto grazie alle indicazioni fornite da Marcello Aricò.