Re Colapesce

Diario di bordo

Escursione a Pezzolo del 16 marzo 2025

Escursione  a Pezzolo del 16 marzo 2025  alla scoperta  delle piante  alimurgiche.
Appuntamento alle 8,15 all’Immacolata.
Presenti: Marcello Aricò,  Carmelo Geraci,Francesco Pagano,  Ciccio Briguglio,  Manuela  Scarcella, Maurizio Inglese, Rosario Sardella, Stefania Davì, Serena  Policastro, Katia Tribulato, Giuseppe  Spanò  , Katia Parisi, Caterina  Iofrida, Antonio  Zampaglione, Alberto Arena, Letizia Inferrera, Mike Sfravara, Antonella Zangla, Gabriella  Panarello, Giovanna Mangano, Placido Cucinotta, Tindari  Ceraolo, Franca Esposito, Alberto Borgia,Angela Giuffrida,Anna Costalunga N.E., Mimmo Delia N.E., Anna Scannapieco N.E. Romina Mondello,Irene Crisafulli e due ospiti. Formazione degli equipaggi e partenza  alle  8,25.
Arrivo al capolinea  dell’autobus  a Pezzolo
alle 9,05 dove ci aspettava  Giuseppe Spuria  insieme  ad altri  tre ragazzi  del loro  gruppo.
Arrivo di Pinella Dini, Tuccio  Novella, Maria  De Carlo , Teresa  Olivieri e altri due esterni. Poco  dopo  è  arrivato  il professore  Girasella, simpatico  e preparato  cittadino di Pezzolo,  che abbiamo  conosciuto nella escursione al ponte  Bettaci  del 15 dicembre  2024, che anche oggi  ci ha fatto  da guida.
Lungo  la strada  per arrivare  alla chiesa madre il professore  Girasella ha spiegato nuovamente in che modo veniva prodotta la calce che serviva , mischiata alla sabbia e all’acqua, a preparare  la malta.
Si partiva dalle grandi rocce di carbonato di calcio presentiin abbondanza nella zona, frantumate con l’impiego di  cariche di dinamite o polvere da sparo, inserita in fori,  lunghi un metro, praticati con lunghi scalpelli battuti a colpi di mazza.
I massi ottenuti a seguito dell’esplosione venivano spaccati a pezzi relativamente piccoli ( le pietre arrivavano a pesare anche 90 chili) con una mazza da 14 chili e venivano messe nella ” caccara”  in modo da formare una cupola e poi ricoperte da pietre di piccola pezzatura, mattoni e tegole. Su questa base si disponevano   120   fascine  di legno povero, per un peso complessivo di quasi dieci tonnellate, a cui veniva dato  fuoco.
La combustione durava 24 ore e alla fine si otteneva ossido di calcio puro ( cauci in petra) che, mescolata alla sabbia e all’acqua diventava una  ottima malta utilizzata per cementare i mattoni.
Arrivati lla chiesa madre abbiamo  preso posto  sui gradini del sagrato per ascoltare le spiegazioni del professore  sulle  erbe selvatiche che aveva  raccolto e  sistemate su un tavolino. Ma prima di iniziare ha raccontato diversi episodi  legati  alla storia quotidiana del paese iniziando a parlare del palmento le  cui mura si affacciano sul sagrato.
Il palmento era ancora in funzione negli anni sessanta del secolo scorso e il Professore  ci andava a pigiare l’uva. La fossa aveva una profondità  di 2,8  metri e un diametro di 3,0 e si riempiva diverse volte nel corso dell’anno. Gli addetti  prendevano il mosto con la quartara da 11 litri e quando si arrivava ad un certo livello  dentro la fossa  scendeva un uomo nudo che riempiva la quartara e la porgeva a quello di sopra . A Pezzolo c’erano 11 palmenti per lavorare l’uva prodotta su 150 ettari di vigneti. Al tempo a Pezzolo c’erano circa 1300 abitanti, quando il professore è andato via ce n’erano 900 e c’erano circa 50 ettari coltivati ad agrumeto in   una zona terrazzata dove l’armacia   era alta tre metri e la rasola era di un metro e mezzo.
I braccianti, con un carico di 50 chili di limoni sulle spalle faticavano come  muli e  fino agli anni sessanta erano l’unico mezzo  di trasporto  esistente.  In queste condizioni  la  vita media era bassissima , da uno studio dei registri il professore  ha rilevato  che dal 1892 al 1932 ci furono 800 morti, di cui 491 bambini che morivano principalmente di polmonite o  intossicati dall’amido  dal ” pappacino”, un sacchetto di tela in cui veniva messa della mollica.  Il liquido che filtrava  era dato come alimento ai bambini  di pochi mesi  quando la madre era senza latte. Il pappacino  si utilizzò  fino agli anni 40.
Un’altra pratica usata era il decotto di prezzemolo, il timovo, ingerito dalle donne  per abortire e  che spesso provocava un ritardo mentale nei bambini che riuscivano a nascere.
Nella chiesa c’è un bellissimo altare caginesco in pietra di carrara e, a destra,  una statua della Madonna   di Loreto.
  Entrando, sulla  destra, c’è una originale acquasantiera di forma ottagonale proveniente dalla chiesa che c’era fuori dal paese  che probabilmente era un ospedale gestito dai cavalieri  dell’ordine di Malta che hanno  tra le caratteristiche, la croce a otto punte. Sul bordo  è incisa  una scritta cinquecentesca  in latino che significa ” non intinga la mano il ladro” dove il ladro era il povero disgraziato che, per sfamare i propri figli , era costretto a  rubare qualche frutto  o erba commestibile di  proprietà  dell’importante monastero  benedettino di San Placido Calonerò.
Il monastero infatti, per privilegio reale risalente al 1400 e in vigore  fino al 1843, aveva il privilegio del pascolo su tutto il territorio  di Altolia, Molino, Giampilieri, Pezzolo, Briga, Santo Stefano  Briga e Santo Stefano  medio.
Tale privilegio costituiva una sorta di sovranità limitata su tutti i possedimenti perché in relazione alla qualità del terreno, alla presenza di acqua, all’esposizione etc. il gabelloto stabiliva la percentuale da consegnare, ma per due prodotti fondamentali, il grano e l’olio la tassa era del 50% . Poi c’era la decima, cioè  il 10% per il sostentamento della chiesa, la tassa  per il regio demanio, che variava in funzione delle esigenze delle casse reali e  alla fine  il naturale, cioè  l’abitante di Pezzolo, portava a casa al massimo il 30 percento di quanto aveva prodotto.
In queste condizioni di  sfruttamento il ” furto” di qualunque prodotto  commestibile utilizzato per sfamare  i propri  figli diventava quasi la prassi.
In fondo alla  chiesa, dietro  una bella acquasantiera, c’era  una apertura chiamata “u purtusu du catalettu” nel quale venivano  inseriti i cadaveri che finivano in un grosso  ambiente  sotterraneo prima della costruzione del cimitero, avvenuta nel 1892.
Il Professore  ricorda che quando aveva  sedici anni crollò un muro di contenimento e lui, insieme  ad un gruppo  di amici, muniti di  torce elettriche, entrarono  nella cavità e videro mucchi di femori, teschi ed altre ossa umane.
Sollecitato dal Presidente  finalmente il Professore ha iniziato a descrivere le erbe che aveva raccolto,  iniziando dalla “borragine”,  erba alimentare facilmente riconoscibile per il bellissimo fiore violetto, si fa a pappetta e si usa per preparare il risotto . Altra pianta, antenato della carota, è il “bastunaru” ,  in italiano pastinaca che  si utilizza cotta. Il ” cavuliceddu” è il precursore del cavolo e dei broccoli. La “colicchia” un’erba dolce  a dela  “zuffa “, un poco amara . Le erbe variano di gusto a seconda dell’altezza sul livello del mare del terreno su cui crescono e si raccolgono.
La ” sulla selvatica” si faceva a decotto.
La sulla si usa nella permacultura come concime insieme al luppino perchè entrambe contengono azoto e nelle vigne si usava la tecnica del sovescio per garantire una concimazione naturale.
Per concimare si impiegava il etame delle capre, dei conigli,  dlgli equini  e delle galline che è però molto acido.
A Pezzolo si utilizzavano anche le deiezioni umane, raccolte nella quartara e sparse nelle coltivazioni dei cavolfiore.
Altre erbe molto diffuse  sono  il “tarassaco”, diuretico , che  si mangia lessato e il finocchio selvatico ,con proprietà antifermentative.
D’estate si trova la portulaca (la porcellana) con la foglia carnosa, da mangiare in insalata.
Riprendendo con i ricordi il Professore ha raccontato  che nel 1930 , Caterina,una donna del luogo, si sposò con un uomo di Altolia che quando rimase vedovo tentò di  insidiare  la figlia Vanna che,  per sfuggirgli,  si gettò dal balcone ma non  si fece niente.
Da quel giorno  in poi iniziò a parlare con la voce della madre, si metteva sul balcone e profetizzava , per esempio ant la seconda guerra e il boom economico che ne seguì che portò  a tutti abbondanza e ricchezze.
Alle 10,15 , sollecitato da Marcello, finalmente  il Professore ha smesso di parlare e ci siamo messi in cammino, in ordine sparso, sulla strada che  conduce al cimitero,  raccogliendo le erbe precedentemente descritte ed altre individuate sul posto.
Lungo il percorso il Professore  ci ha indicato, sul fianco della montagna, fuori dal paese, la ex chiesa di San Giovanni Battista, poi chiesa  di Loreto,  di cui rimangono gli interessanti resti, incluso un affresco con l’immagine  della pietra angolare e di un sole che illumina dall’alto un uomo, come descritto  nel “Benedictus”.
L’ edificio è  stato  presumibilmente realizzato da monaci basiliani dopo il 726 d.c. e prima dell’arrivo degli arabi a Messina  nell’843.
Arrivati ad un capannone in disuso, un tempo  utilizzato per  l’allevamento di conigli, ci siamo  fermati  in uno slargo soleggiato dove il Professore ha raccontato  un  episodio,  legato alla   attività  di docente sua e della sua collega Anna Scannapieco , che aveva  risvolti  di comicità dovuti al contesto in cui è avvenuto.
Ci ha parlato anche  del duro lavoro  dei carbonai che eliminarono nel corso degli anni i boschi di quercia e di lecci dei dintorni per produrre , con una sapiente e faticosa tecnica,  il carbone , unica fonte di combustibile disponibile.
Anche  un suo trisavolo con il fratello erano  carbonai e una volta, andando a vendere  il carbone prodotto, incapparono in una avventura  dai aspetti boccacceschi. A Pezzolo  esisteva una consistente comunità di  ebrei, alcuni  dei quali, dopo l’ editto di Granada del 1492, divennero ” marrani”  essendosi convertiti i per necessità alla fede cattolica   ma continuavano a pregare in maniera  particolare.
Alle 11,30 siamo tornati  in paese risalendo il ripido sentiero a gradini della prima calata  per il ponte  Bettaci, ben visibile in basso, e siamo  arrivati  in un punto  dove la strada si  allarga, a circa cento  metri  dal monumento  ai Caduti, dove i ragazzi  della associazione impegnati nella valorizzazione del sentiero  Bettaci e del paese avevano  allestito alcuni  tavolini per l’aperitivo e per la vendita di conserve prodotte dalla cooperativa CAIFE.
Dopo la foto di gruppo, alle 12,30 circa, ci siamo messi in macchina per tornare a Messina sotto  un caldo sole primaverile che ha allietato la piacevole  escursione.

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